Coronavirus, parla il climatologo: l’epidemia potrebbe resistere al caldo
Mar 21, 2020 - Martina Di Fraia
Alcuni giorni fa, il noto virologo Burioni aveva ipotizzato che l’arrivo della primavera potesse mettere un freno alla diffusione del Covid-19. Adesso un’affermazione del climatologo Fazzini sembrerebbe smentire questa ipotesi: secondo lui, il Coronavirus non terrebbe al momento conto delle variazioni climatologiche e dunque delle temperature.
A dichiararlo è Massimiliano Fazzini, Climatologo dell’Università di Camerino e Coordinatore del Gruppo di esperti sul *Rischio Climatico* della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA), in base a uno studio condotto da un gruppo multidisciplinare accademico e tecnico. Tra le differenti numerosissime variabili indipendenti che possono spiegare l’evoluzione della variabilità spazio-temporale del SARS-CoV-2, non potevano non essere analizzate quelle meteoclimatologiche ed ambientali.
“In particolare, da più parti si sono fatte svariate allusioni sull’incidenza della variabile temperatura”, ha proseguito Fazzini, “evidenziando che il virus possa perdere di virulenza all’aumentare o al sensibile diminuire di tale parametro; alcuni divulgatori hanno curiosamente evidenziato che il virus morirebbe oltre i 27°C di temperatura.
Ovviamente è quello che speriamo tutti. Da alcuni studi sembrerebbe che il virus possa avere una maggiore virulenza nel range termico esterno compreso tra 64 e 12°C e che le temperature registrate in febbraio in WUHAN siano idonee alla proliferazione del virus. evidenziando poi che con l’aumento delle temperatura, procedendo con la stagione primaverile, le aree situate a latitudini maggiori potrebbero subire un incremento dei contagi. Però da approfondimenti che stiamo conducendo sembrerebbe che il Coronavirus non terrebbe conto delle variazioni climatiche.
Di conseguenza è stato approntato uno studio climatologico finalizzato alla conferma di tali evidenze o supposizioni. I primi parziali risultati dell’analisi sono i seguenti: “Nell’area di WUHAN, nell’intero mese di Febbraio si sono evidenziate temperature costantemente oltre le medie climatiche (9,2°C la media mensile del mese contro i 5,8°C della media climatica riferita al trentennio 1971-2000), mentre le precipitazioni sono state complessivamente inferiori alle medie climatiche (36 mm Vs 52 mm).
Evidentemente, non si tratterebbe di anomalie medie tali da poter in qualche modo amplificare il segnale epidemiologico occorso. Se poi si va ad analizzare l’andamento epidemiologico giornaliero con quello termico, ne deriva un coefficiente di correlazione pari a circa 0,11, dunque statisticamente insignificante. Quindi il quadro climatologico non ha influito in alcun modo sull’evoluzione del contagio“.
Fazzini spiega quindi l’evoluzione dello studio sul Coronavirus: “Focalizzando infine l’attenzione sul dominio lombardo-veneto, sono stati considerati, a partire dal 20 febbraio e sino al 18 marzo, i dati termo-pluviometrici ed anemometrici di 10 stazioni rappresentative, sia dei tre focolai principiali di diffusione del virus (aree di Codogno, Nembro e Vo ‘euganeo) sia delle altre province maggiormente interessate della regione lombarda.
Anche in questo caso, i coefficienti di correlazione tra la diffusione giornaliera del virus a livello provinciale ed i parametri meteoclimatici non hanno affatto evidenziato alcun rapporto statistico, e dunque sembrerebbero di conseguenza smentire i risultati pubblicati ufficialmente da più fonti.
A quanto pare nessun rapporto ci sarebbe tra le variazioni climatiche, dunque le temperature e l’evoluzione epidemiologica del Coronavirus. Contemporaneamente, stiamo esaminando l’andamento dei principali parametri di inquinamento ambientale (Biossido di azoto e di zolfo e particolato sospeso) per tentare di ricavare eventuali relazioni statistiche multiregressive con i prima menzionati parametri meteo climatologici sempre in relazione alla comprensione dell’espansione del COVID 19″.