E’ uno dei commenti che più si leggono sui social. Perché viene fatto il tampone a calciatori, politici o vip che sono asintomatici mentre non viene fatto a medici a contatto diretto con pazienti covid-19 ? Ora questa domanda viene fatta da Nicola Mumoli che spiega come ci sia una sorta di discriminazione nei confronti del personale sanitario. Il direttore Uo di Medicina interna dell’Ospedale di Magenta (in provincia di Milano) ha scritto una lettera al ‘Corriere della Sera’.
Nel suo ospedale ci sono circa 130 pazienti positivi. La sua lettera vuole essere una denuncia verso chi sta sacrificando la propria vita. Ad oggi infatti, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sono 4.824 i professionisti sanitari contagiati dal coronavirus da quando è iniziata questa epidemia. Circa il 9% del totale delle persone che hanno contratto l’infezione, una percentuale più che doppia rispetto a quella cinese dello studio pubblicato su JAMA (3,8%). Tanti anche quelli che hanno perso la vita. A questi ‘eroi contemporanei’ è spesso negato il tampone.
Come scrive il direttore nella lettera al Corriere:
“Tutti hanno nascosto sotto una mascherina la propria identità, nessuno ha cercato visibilità, di loro nessuno ha parlato perché queste notizie «non fanno più rumore del crescere dell’erba», come scriveva Ungaretti. Una mia collaboratrice, impegnata da subito in questa battaglia e con contatti quotidiani con pazienti affetti da Covid 19 disease, pochi giorni fa si è ammalata, manifestando sintomi e segni tipici della patologia virale; contattati più volte i numeri di emergenza nazionale, le è stato negato il tampone.
Invece oggi le pagine delle cronache riportano le buone condizioni di calciatori, attori e politici che esattamente come la mia collaboratrice hanno avuto «contatto con persone positive e sintomi da virosi» ma cui, a differenza della dottoressa, è stato eseguito il tampone e quindi formulato un corretto programma sanitario di controllo. Non conoscere, ma solo ipotizzare per la mia collaboratrice un contagio da Coronavirus, oltre a essere ragione di preoccupazione e angoscia, non le consente di applicare le linee guida in fieri sull’eventuale assunzione di farmaci antiretrovirali né di scegliere i corretti tempi del rientro al lavoro.
Inevitabile il pensiero di chiunque: grande solidarietà con il personale sanitario, striscioni ovunque, slogan buonisti sbandierati da tutti ma di fatto solo discriminazione e ipocrisia. Se si deve scegliere tra un calciatore e un medico non ci sono dubbi e ci sentiamo condannati a sparire sotto quella mascherina che indossiamo ogni giorno con grande fierezza, esercitando un lavoro che mai come ora consideriamo un privilegio”.