Il Coronavirus non è un prodotto di laboratorio: uno studio spiega il perché
Mar 25, 2020 - Martina Di Fraia
In tempi di emergenza Covid-19, le bufale che circolano in rete ormai non si contano più. C’è una teoria del complotto, in particolare, che ha affascinato in moltissimi, secondo la quale il nuovo coronavirus sarebbe stato creato in laboratorio, nell’ambito di una presunta guerra batteriologica. L’ipotesi, tuttavia, è molto poco probabile: a confutarla è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature.
Lo studio in questione, intitolato “The proximal origins of SARS-CoV-2“, riassume le conclusioni tratte da un gruppo di studiosi sull’origine del virus, basate sull’analisi comparativa dei dati genomici. I ricercatori avevano già constatato che il virus SARS-Cov-2 si lega al recettore umano ACE2 tramite una proteina definita “spike” (uncino).
A questo punto, gli studiosi hanno focalizzato la loro attenzione sul dominio RBD (la “parte” del virus che si lega al recettore) della proteina spike, che risulta essere la parte più variabile del genoma del virus. Tramite studi strutturali ed esperimenti biochimici, i ricercatori hanno constatato che il virus SARS-CoV-2 si lega con grande facilità all’ACE2 presente negli esseri umani e in altre specie (tra le quali i furetti).
Tuttavia, le analisi computazionali dimostrano che in realtà la sequenza RBD ottimale per l’interazione della proteina spike con i recettori è diversa dalla sequenza individuata nel virus. Pertanto, l’elevata affinità di legame tra il SARS-CoV-2 e l’ACE2 è, con ogni probabilità, frutto di una selezione naturale e non di un esperimento genetico.
Questo dimostra chiaramente che il nuovo coronavirus non è un prodotto di laboratorio. Se lo fosse, tra l’altro, sarebbe stato possibile utilizzare un sistema di genetica inversa per combatterlo. L’ipotesi più plausibile è dunque rappresentata dalla selezione naturale, avvenuta dapprima negli animali e in seguito negli esseri umani.