Il governo non impara dagli errori: in due mesi la Lombardia mostra dati da zona rossa e non doveva riaprire
Mag 02, 2020 - Chiara Di Tommaso
La premessa è d’obbligo: nulla contro la Lombardia e nessuna invidia verso una Regione che da sola rappresenta il 25% del Pil nazionale (per dirla alla Vittorio Feltri). Ma riaprire in questo momento una Regione che conta ancora una media di 500 casi al giorno (+737 il 1 maggio) va contro ogni criterio logico finora adottato. E inoltre mostra come il governo non abbia imparato nulla dagli errori fatti nella fase iniziale dell’emergenza.
A parlare chiaro sono i numeri. Quei numeri tanto cari alla Protezione Civile che li ha utilizzati per definire l’andamento della curva dei contagi in base ai decessi, ai nuovi casi e ai guariti da coronavirus nel nostro Paese. Abbiamo quindi deciso di confrontare due date, l’8 marzo e il 1 maggio (non il 2 perché la Lombardia ha comunicato un numero superiore di morti che non aveva registrato e quindi il dato poteva essere falsato). Come è cambiata la situazione della Lombardia in due mesi? Allora il governo decise di istituire la zona rossa, ora decide di aprire la Regione.
ATTUALMENTE POSITIVI – Un numero deve far riflettere: quello degli attualmente positivi. In due mesi questo numero in Lombardia è quasi 10 volte maggiore. L’8 marzo erano 3.372, il 1 maggio 36.473. In terapia intensiva erano ricoverate 399 persone, il 1 maggio 563. I ricoverati con sintomi erano 2.217 contro i 6.628 del 1 maggio. Allora si decise di fare della Lombardia una zona rossa con numeri nettamente migliori rispetto ad oggi.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’indice R0 è ora sceso sotto 1 ma questa è avvenuto solo grazie alle misure restrittive dovute al lockdown. Cosa succede ora che si riapre? Il governatore Fontana è ottimista e dichiara che non ci saranno ulteriori restrizioni rispetto a quelle nazionali. In pratica la Campania con un numero nettamente inferiore di contagi (4.459 contro i 76.469 lombardi, al 1 maggio) ha ordinanze più restrittive. E come mesi fa fu lanciata la campagna ‘Milano non si ferma’, ora compare quella ‘La Lombardia è pronta a ripartire’.
Una fretta che invece spaventa il sindaco di Opera, comune in provincia di Milano che ha deciso di scrivere una lettera ai suoi concittadini spiegando come le misure restrittive rimaranno in vigore anche dopo il 4 maggio:
“Sento forte la responsabilità e l’urgenza di difendere i miei concittadini da questo pericoloso rischio. Il mio convincimento è che non si deve avere fretta, soprattutto in questo momento. Gli esperti si aspettano dall’allentamento del lockdawn un incremento dei contagi”.
L’errore da parte del governo è duplice. Non solo la Lombardia non è zona rossa (visti i numeri ancora alti di contagi) ma sono consentiti i rientri in altre Regioni. Un po’ come successe due mesi fa.
RIENTRI AL SUD – L’8 marzo il premier Giuseppe Conte chiude la Lombardia che diventa così una zona rossa. Nella notte l’anticipazione del decreto fa muovere una massa di persone verso il Sud. E’ l’ondata che porterà nei 15 giorni successivi a registrare più contagi nelle regioni meridionali. Ma non è tutto, perché il 9 Conte decide di chiudere tutta Italia. Ormai tardi perché le persone si sono spostate e hanno esteso il virus anche ad altre regioni d’Italia. Ed è quello che sta per accadere ora, 4 maggio. Non si capisce infatti la scelta del governo di aprire tutto subito. Come fatto sapere da uno studio della Fondazione Gimbe, in Italia sono tre le regioni ancora in fase 1 che non dovrebbero essere riaperte e sono Lombardia, Piemonte e Liguria. Il 18 maggio (con 15 giorni di ritardo) si deciderà se prendere provvedimenti restrittivi su base regionale ma ormai sarà di nuovo tardi, come con l’8 marzo.
Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha fatto sapere nell’ultima conferenza stampa che la causa del contagio nella nostra regione è partito da tre persone che provenivano dal Nord:
“Un ristoratore che credo avesse partecipato a un evento fieristico, credo in Veneto. Un informatore scientifico che aveva partecipato a un convegno con altri informatori a Milano. Un’operatrice sanitaria che veniva dall’Ospedale di Crema. In Campania abbiamo cominciato così”.
E la storia purtroppo potrebbe ripetersi.