Dopo due mesi di lockdown ricominciano gli sversamenti nel Sarno, il fiume più inquinato d’Europa, e principalmente nei torrenti Cavaiola e Solofrana che sono i suoi principali affluenti. Nelle loro prossimità, è cosa più che nota, si trovano delle fabbriche che riversano nelle acque i propri materiali di scarto, scorie delle concerie e delle industrie conserviere.
Il fiume Sarno, ovviamente, nasce limpido ed immacolato alla propria sorgente. I problemi sorgono quando le acque dei torrenti si riversano nelle suo corso, ma ciò non significa altro che si conosce con precisione quale sia l’origine del suo inquinamento. Poiché si tratta di attività industriali visibili e conosciute, teoricamente sarebbe semplice effettuare controlli ed ispezioni per verificare il rispetto delle norme sulla tutela ambientale. Controlli che, tuttavia, non vengono effettuati e non riusciamo a capire per quale motivo.
Per preservare le fabbriche ed evitare conseguenze economiche? Se fosse questa la giustificazione, si potrebbe obiettare che in realtà i danni economici dell’inquinamento del Sarno sono incalcolabili: si pensi a quanto turismo si rinuncia nonostante chilometri di spiaggia non solo tra Torre Annunziata e Castellammare, dove è situata la foce, ma anche nei comuni limitrofi. I danni sulla salute dell’uomo e sugli animali sono altrettanto scontati e certi: basti pensare che nel fiume non è sopravvissuta neanche una specie animale. Un disastro ambientale, insomma, di proporzioni immense e accettato sia dai cittadini che dalle istituzioni.
Fabbriche individuabili, dicevamo, così lo sono anche eventuali condotti abusivi: le moderne tecnologie consentono di farlo. A quel punto sarebbe molto semplice mandarli davvero i carabinieri a sequestrare tutto, preferibilmente proprio con quei lanciafiamme resi celebri dal presidente Vincenzo De Luca: sarebbe una mossa molto convincente. La nostra è, ovviamente, una provocazione, eppure…