Coronavirus. Il virus che ha messo in ginocchio il mondo intero sarebbe mutato più di 6800 volte. A indicarlo è uno studio internazionale coordinato dalla University College di Londra e condiviso su BioRxiv.
Tra le mutazioni studiate – tra quelle più comuni – non ne è stata trovata alcuna che ne abbia aumentato la contagiosità, mentre la maggior parte potrebbe addirittura averlo penalizzato. Il più delle volte questi cambiamenti non sarebbero nati come risultato dell’adattamento del virus all’uomo, ma sarebbero stati indotti proprio dai meccanismi di difesa immunitaria delle persone infettate.
Coronavirus, bollettino nazionale del 25 maggio
Analizzando i genomi virali recuperati da oltre 15.000 pazienti Covid di 75 Paesi, i ricercatori hanno identificato 6.822 mutazioni, di cui 273 sono comparse più volte e in maniera indipendente. Tra queste, 31 sono state studiate attentamente perché si sono manifestate almeno 10 volte nel corso della pandemia. I ricercatori hanno valutato se fossero diventate particolarmente comuni in alcuni ‘rami’: questo segnale indicherebbe infatti che le mutazioni hanno conferito un vantaggio evolutivo rispetto ai virus precedenti che ne erano sprovvisti.
“Abbiamo usato una nuova tecnica per determinare se i virus con nuove mutazioni fossero trasmessi più facilmente – spiega il coordinatore dello studio Francois Balloux – e abbiamo osservato che nessuna delle mutazioni candidate sembra portare benefici al virus“.
Alcune di queste mutazioni sembrano innocenti per il sistema immunitario dell’uomo, mentre proprio il sistema immunitario ha fatto sì che alcune di queste mutazioni fossero dannose per il virus stesso.