È di queste ore la notizia del primo trapianto bilaterale di polmoni d’Europa al Policlinico di Milano. L’operazione, riuscita con successo, era stata precedentemente tentata solo in Cina, primo focolaio del virus.
L’intervento è stato eseguito su un giovane diciottenne di Milano, che aveva contratto il Covid. Il ragazzo, nonostante non avesse alcuna patologia pregressa e fosse di sana costituzione, era stato ricoverato al San Raffaele di Milano a causa di una febbre molto alta lo scorso 6 marzo. I sintomi, cominciati quattro giorni prima, si sono aggravati sempre di più.
Solo una volta raggiunto il nosocomio, i medici hanno potuto rilevare la gravità della situazione. I polmoni del ragazzo erano letteralmente “bruciati” e nel giro di due giorni è stato intubato. Non solo. A fine marzo, il giovane è stato attaccato alla macchina Ecmo a causa della sua insufficienza respiratoria.
Nonostante le pochissime speranze, d’accordo con i medici del Policlinico di Milano, il 30 aprile il giovane viene inserito nella lista d’attesa per il trapianto di entrambi i polmoni. L’intervento è stato definito dai medici stessi “un salto nel vuoto“.
Tentato e riuscito con successo solo un paio di volte in Cina, i medici del Policlinico lombardo sono stati i primi d’Europa ad ottenere questo straordinario risultato. Il trapianto è stato effettuato il 18 maggio scorso, e nei giorni successivi un secondo tentativo è stato fatto in Austria, a Vienna.
L’intervento, dopo dodici ore, è andato a buon fine. Il giovane è stato staccato dalla macchina Ecmo e ha ripreso a respirare senza supporto esterno. In questo momento si trova ancora ricoverato al Policlinico milanese, ma comincia a riprendersi. E’ cosciente e segue un percorso di fisioterapia che lo porterà, quanto prima, alla sua vita.
L’equipe del professor Mario Nosotti, direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia toracica dell’Università Statale di Milano, ha dichiarato al Corriere dopo l’operazione: “Devo sottolineare il coraggio dei colleghi del San Raffaele. Non si sono arresi e, anzi, ci hanno coinvolto in una soluzione mai tentata prima in occidente.
La nostra esperienza prende spunto da quella del professor Jing-Yu Chen dell’ospedale di Wuxi in Cina. Lo abbiamo conosciuto personalmente. Abbiamo discusso con lui di alcuni aspetti tecnici, dato che si è trovato ad affrontare il problema prima di noi“.