Siamo nell’agosto del 1973 e a Napoli scoppia un’epidemia di colera. Epidemia, in realtà, è un parolone perché in tutto si contarono 119 infetti e 15 morti, mentre a Caserta i casi furono 11 con zero morti. Alcuni casi si ebbero anche in Puglia: a Bari 110 casi con 6 morti, in proporzione un dato peggiore rispetto a quello partenopeo data la popolazione numericamente molto inferiore. In poche settimane, ad ogni modo, le città corsero ai ripari e tennero la situazione sotto controllo, debellando ben presto il colera, che fu importato insieme a un carico di cozze provenienti dalla Tunisia.
Ancora oggi, a quasi 50 anni di distanza da quei fatti, i napoletani vengono definiti colerosi non solo all’interno degli stadi, ma anche all’esterno. I pregiudizi che insistono nelle tifoserie di calcio, infatti, provengono proprio dalla società: non sono entità a sé stanti e isolate dal resto del mondo. Se dire “napoletano coleroso”, però, viene considerato un semplice sfottò, subito si è gridato al razzismo quando praticamente tutta l’Italia (eccetto il Nord) ha affermato che forse è un tantino presto per riaprire la Lombardia il 3 giugno insieme a tutte le altre regioni.
Un ragionamento in verità supportato dai numeri, poiché i nuovi casi in regione sono ancora diverse centinaia al giorno, a differenza di alcune regioni del Centro e del Sud che ne contano zero. Si tratterebbe inoltre di precludere gli spostamenti ai lombardi soltanto per un’altra settimana, al massimo due, nulla di trascendentale. Eppure si è scatenato il piagnisteo, con Beppe Sala giunto perfino a minacciare Sicilia e Sardegna. Ci sarà un motivo se anche Enrico Rossi, presidente della Toscana e di certo non un “borbonico”, sostiene la necessità di tenere chiusi i confini lombardi, aggiungendo che a situazione di contagi invertita le regioni del Mezzogiorno sarebbero state trattate ben peggio rispetto al Settentrione.
A questo proposito sarà bene ricordare quale fu l’atteggiamento nei confronti di Bari e specialmente Napoli nel 1973. “Se noi riguardiamo i giornali dell’epoca bisogna ammettere che la criminalizzazione di Napoli fu davvero spropositata“, racconta Paolo Mieli che fu mandato a seguire i fatti e raccontarli.
A settembre il Napoli avrebbe dovuto recarsi a Genova e il Verona a Bari per i rispettivi turni di Coppa Italia. La Regione Liguria tuttavia negò il permesso di entrata agli azzurri per evitare il pericolo di contagi, così il Genoa si offrì di partire alla volta del Vesuvio. Se questa era la posizione del club, i giocatori al contrario, come i colleghi veronesi, non volevano partire. Il Corriere della Sera parlò di un “rifiuto giusto” e, stando ai titoloni e al racconto fatto in quei giorni dell’epidemia, ci sembra di non poter gridare allo scandalo se i calciatori abbiano avuto paura. Le partite alla fine non si giocarono ed a Napoli e Bari fu concessa la vittoria a tavolino.
Emerge quindi, ancora una volta, una disparità di trattamento tra Napoli ed il meridione in generale e il resto della nazione. Nel 1973 nessuno si fece problemi a sporcare l’immagine della città: un ritorno disastroso in termini economici e di immagine.