Coronavirus, uno studio conferma: il Sud protetto dal suo “scudo genetico”
Lug 23, 2020 - Cinzia Esposito
Al principio del dilagarsi della pandemia nella penisola, molti – da Nord a Sud – hanno pensato “se la diffusione del Coronavirus fosse stata tanto violenta al sud come lo è stata in Lombardia, il sistema sanitario non sarebbe riuscito a far fronte all’emergenza“. In realtà, non è del tutto vero: a quanto pare il Sud ha una sorta di scudo genetico contro il coronavirus.
A dimostrarlo è uno studio pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences condotto dal professor Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia, professore di Patologia all’università di Siena.
Giordano ha lavorato in sinergia con un team multidisciplinare composto da Pierpaolo Correale e Rita Emilena Saladino, del Grand Metropolitan Hospital ‘Bianchi Melacrino Morelli’ di Reggio Calabria; Giovanni Baglio e Pierpaolo Sileri, del ministero della Salute italiano e dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano; Luciano Mutti, dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine. Parte della squadra anche un medico campano: Francesca Pentimalli, dell’Istituto tumori di Napoli, Irccs Fondazione Pascale.
Lo studio
Le prime ipotesi parlavano di una possibile diversità climatica. Tuttavia, grazie a questo lavoro geografico, “di tipo ecologico” definiscono gli esperti, si scoperta l’esistenza di due geni che “potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione”. Ciò significa che la presenza di questi due alleli (denominati Hla B44 e C01) hanno permesso una difesa innata anti-coronavirus al sud.
Gli studiosi hanno effettuato la controprova analizzando il caso specifico di due regioni della penisola che hanno riscontrato forti differenze dei tassi di infezione: Emilia Romagna e Marche. Nello specifico, infatti, la presenza di questi due alleli nella regione marchigiana ha contrastato fortemente l’onda di SARS-CoV-2. “La prevalenza dell’allele B44 sembra quasi esattamente predire l’incidenza di Covid-19“, sostiene il dott. Giordano.
Il commento degli studiosi
“Non è sorprendente che sia l’allele Hla B44 che il C01 siano stati precedentemente associati a malattie autoimmuni infiammatorie, e che C01 sia stato correlato a infezioni seno-polmonari ricorrenti“, ha sostenuto il dott. Pierpaolo Correale, direttore dell’Unità medica di Oncologia del Grand Metropolitan Hospital ‘Bianchi Melacrino Morelli’ di Reggio Calabria. “Ciò evidenzia, quindi, la capacità di questi alleli Hla di innescare reazioni immunologiche inadeguate nei confronti di specifici antigeni del Sars-Cov-2″.