L’Italia non è un paese riconoscente. Aveva ragione il grande Totò nell’affermare che viviamo in un paese dove bisogna morire per venire riconosciuti in qualcosa. Stesso discorso vale per il personale sanitario impegnato nell’emergenza covid, persone stremate dai turni e che mettono il proprio fisico a dura prova. I loro corpi portano i lividi causati dai dispositivi, si addormentano stremati dove capita. Tra costoro figurano sicuramente gli infermieri:
“Nel periodo dell’emergenza ci hanno chiamati eroi, ma continuano, in modo irresponsabile, ad ignorare le nostre giuste rivendicazioni”. Così Antonio De Palma, Presidente del Sindacato infermieri italiano, Nursing Up. “Ci sono voluti mesi – spiega De Palma – per ottenere un incontro ufficiale con il ministro della salute e affrontare il nodo indennità professionale e discutere degli altri aspetti, a cominciare dai rischi per chi lavora nei reparti Covid. Ci hanno chiamati il 12 di ottobre dopo settimane di anticamera ma, ad oggi, ancora nessuna risposta concreta alle nostre richieste. Stiamo, peraltro, aspettando anche di conoscere la posizione del Comitato di Settore che rappresenta le regioni. Lo scorso 15 ottobre, a margine della manifestazione che abbiamo tenuto al Circo Massimo a Roma, avevamo incontrato il presidente Davide Caparini. Ma anche in questo caso, silenzio assoluto”.
Da giorni – prosegue De Palma – proponiamo, attraverso i media, una soluzione immediatamente praticabile per accelerare mappatura e tracciamento. La nostra proposta è semplice: test rapidi nelle farmacie italiane con il supporto, retribuito, degli infermieri pubblici, non impegnati nei servizi ospedalieri, e dei liberi professionisti italiani. Questo consentirebbe di dare ossigeno ai competenti servizi ASL, che ci risultano in empasse in ogni regione, alleggerendo anche il carico di lavoro agli ospedalieri. Ma dal ministro Roberto Speranza, anche in questo caso, nessuna risposta. E’ come se non esistessimo. Eppure siamo sempre in prima linea. Assieme ai medici viviamo giorno per giorno l’emergenza. Noi rappresentiamo il ‘front office’ della sanità, ma anche coloro che stanno più a contatto con i pazienti e con i loro familiari. La nostra voce è importante tanto quanto quella di illustri esperti, ma che non hanno mai messo piede in una corsia di ospedale. Il 2 novembre, nostro malgrado, incroceremo le braccia per 24 ore. Ci saranno dei disagi inevitabili, e ce ne scusiamo con gli utenti, ma, almeno sino ad ora, il governo non ha fatto nulla per evitare che si arrivasse a questo gesto estremo. Lo sciopero è l’unico modo per far sentire la nostra voce”.