Il museo non vuole morire. Antonio Mussari ed il mare perduto di Napoli
Lug 12, 2014 - Marta Laureanti
Per la rubrica Mare Dentro intervistiamo Antonio Mussari, fondatore lungimirante e direttore coraggioso del Museo del Mare di Napoli, unico e importante punto di riferimento dedicato alla cultura marittima in Campania.
Dott. Mussari, come e quando nasce il Museo del Mare nella sua mente e soprattutto perché?
L’idea del Museo nasce per la conservazione del patrimonio dell’Istituto Tecnico Nautico “Duca degli Abruzzi” di Napoli, che vanta una storia pluricentenaria ed un patrimonio dal prezioso valore culturale e storico ma a rischio di dispersione e distruzione a causa di ignoranza, insensibilità ed inconsapevolezza.
Il Museo nasce nei primi anni del ‘900 come laboratorio didattico dell’Istituto e solo nel 1992 si apre al territorio come Museo Didattico. Diventa Museo del Mare quando si gli si dà l’obiettivo di legarlo maggiormente al territorio agendo come Ente Culturale distinto dalla Scuola. In genere una Scuola “è di tutti e di nessuno” e quindi la responsabilità della cura di un bene pubblico anch’essa “è di tutti e di nessuno”. In altri termini, in assenza di una specifica figura di riferimento – il curatore del Museo – l‘integrità e la sicurezza del patrimonio sarebbe stata a rischio.
Dalla fondazione avvenuta nel 1992 ad oggi cosa è cambiato nella gestione del Museo del Mare e qual è, secondo Lei, la percezione degli abitanti del quartiere e della città riguardo il ruolo del Museo nel territorio?
All’inizio la funzione prioritaria del Museo era la conservazione del patrimonio, successivamente il Museo si è via via trasformato in un punto di riferimento culturale del territorio e anche in un’Istituzione a cui eventualmente affidare, perché ben custodite e valorizzate, le Memorie materiali e immateriali di enti, famiglie, privati. Tutti gli eventi culturali che abbiamo posto in essere hanno incontrato il favore di un ampio pubblico, come testimoniato dalla presenza crescente di visitatori e amici (“frequentatori fidelizzati”) del Museo che hanno apprezzato il nostro impegno e le nostre varie iniziative.
Abbiamo tenuto, generosamente, un basso profilo fintanto che si discuteva della nascita di un grande Museo Navale della Città, che però non si è realizzato. Visto il disinteresse delle Istituzioni ad un certo punto questo è diventato l’unico Museo del Mare di Napoli e come tale opera nella città ed è presente sul Web.
Nel 2007, poiché la legge lo consentiva, per mantenere il Museo come centro culturale indipendente, con una gestione economica autonoma, è stata costituita la Fondazione Thetys – Museo del Mare di Napoli e nel dicembre dello stesso anno la Fondazione ha ottenuto il riconoscimento di Museo di interesse Regionale. Attualmente, dopo lo sciagurato incendio di Città della Scienza, il Museo del Mare è l’unica presenza culturale attiva sul territorio di Bagnoli, cioè in una periferia che ha vissuto un drammatico processo di deindustrializzazione, dopo la chiusura del grande stabilimento Ilva – Italsider, e che dopo venti anni è ancora in attesa di una riconversione.
Quali sono state e quali sono le maggiori criticità nella gestione di questo patrimonio culturale di tutti che il Museo del Mare si fa carico di documentare?
Naturalmente al primo posto troviamo i fattori economici: quanto facciamo è subordinato agli scarsi finanziamenti disponibili per la salvaguardia del patrimonio.
Per documentare e valorizzare il patrimonio, con progetto finanziato dalla Regione Campania, stiamo redigendo una pubblicazione: IL MUSEO DEL MARE DI NAPOLI – Guida attraverso il patrimonio materiale. Altra criticità sono gli spazi espositivi divenuti insufficienti man mano che, in seguito alle donazioni di privati, sta diventando evidente che, in spazi ristretti, l’allestimento delle sale espositive è insufficiente alla valorizzazione del patrimonio, per quanto questo sia di assoluto valore storico, estetico, culturale.
Come si pongono, secondo lei, le istituzioni pubbliche riguardo la creazione di spazi che favoriscano dialogo e integrazione tra le storie passate di un territorio e la popolazione locale che lo abita oggi?
Le Istituzioni di solito si limitano a delle promesse, che puntualmente tralasciano di mantenere. È pur vero che sono tanti i problemi di Napoli e i responsabili della cosa pubblica sono presi da un eccesso di complessità, di ritardi, di mancate soluzioni. Personalmente non sono più disposto ad illudermi. Apparentemente la cultura sarebbe la “grande priorità” delle Istituzioni; la conservazione del nostro grande patrimonio un’opera qualificante, irrinunciabile per un’amministrazione che si propone di valorizzare il mare e la cultura del mare come sua caratteristica peculiare. Ho prospettato ai politici passati tra le sale del Museo del Mare la necessità di avere spazi adeguati per la valorizzazione del patrimonio, indicando anche possibili, concrete soluzioni; in occasione di vari e periodici convegni tenuti in varie sedi cittadine ho fatto presente l’importanza che un Museo può avere come volano economico per il territorio e come visibile valorizzazione della ricchezza del patrimonio marinaro disperso che, riunito in una unica sede, renderebbe il nuovo Museo confrontabile con i più prestigiosi musei navali europei. Sono sicuro che nel demanio cittadino ci sia una struttura disponibile, idonea come sede museale che, per la sua centralità, possa
attrarre il patrimonio e valorizzarlo e che esista una misura nei progetti europei che permetta il finanziamento della sua ristrutturazione.
Gli amministratori di Comune e Regione sono responsabili di questa mancanza di iniziative al punto che dispero di vedere realizzato questo progetto. A meno che non abbiano ragione politici dalla vista corta, convinti che i bisogni e i desideri della maggioranza dei cittadini siano legati solo all’immediato presente, per cui tutto ciò che fa parte della conservazione della Memoria perde d’importanza e diventa un’opzione senza prospettive.
Ai visitatori del Museo del Mare che si rendono conto della validità della sua proposta culturale e lamentano l’insufficienza degli spazi espositivi suggerisco di chiederne conto ai loro politici di riferimento.
Sappiamo che il Museo del Mare si impegna in numerose iniziative ed attività di divulgazione. Mi ha molto colpito l’iniziativa “Per non perdere la memoria”. Ci potrebbe brevemente spiegare di cosa si tratta e perché la cultura marittima è profondamente legata al tessuto sociale e territoriale della Campania?
La nostra comunicazione – ce ne rendiamo conto – è insufficiente. Ma poiché costa, e non poco, abbiamo deciso di farci conoscere attraverso eventi culturali quali mostre, convegni, presentazioni di libri. Queste iniziative costano relativamente poco e ci permettono di assolvere il compito di attrarre un pubblico, composto di scolaresche e non solo, con temi culturali e ricerche che “in primis” coinvolgono noi operatori. Questo è stato ben compreso e quindi le nostre manifestazioni sono sempre affollate e registrano una viva partecipazione, non solo da parte degli estimatori affezionati.
Il Progetto Memoria muove le mosse dallo stesso interesse che ha per me la conservazione del patrimonio. È amore per la conoscenza, rispetto per il passato, cura di ciò che non deve essere disperso perché non appartiene a noi come individui ma a tutta la comunità e rappresenta la sua identità.
Siamo partiti dalla constatazione di un rapporto debole di Napoli con il suo mare: Napoli non interagisce con il mare se non attraverso il panorama e il porto come luogo di fatica. In realtà, questa città non ha memoria marinara che non sia oleografica. Un passato legato al mare, faticoso e generalmente povero ma dignitoso è stato quasi interamente rimosso rispetto alla sguaiata ricerca di consumo e di edonismo del tempo presente.
Rappresenta un motivo di orgoglio per noi aver contribuito a recuperare un segmento della vita di Napoli del ‘900 rimosso e quasi completamente dimenticato. Parlo del recupero e della valorizzazione di un archivio che ci è stato donato e che è al centro del nostro Progetto Memoria.
Mi riferisco all’archivio sulla esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” che dal 1913 al 1928 ha sottratto ad una vita miserabile più di 750 “scugnizzi”, bambini e ragazzi abbandonati, costretti a vivere ai margini della società. La ricerca, resa possibile dalla riscoperta dell’archivio, in gran parte fotografico, ha portato alla realizzazione della mostra itinerante Da scugnizzi a marinaretti. L’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” a cura mia e della prof.ssa M. Antonietta Selvaggio, è stata ospitata in prestigiose sedi culturali di tutta Italia. L’omonimo catalogo è stato persino adottato in corsi universitari ed è ancora presente in libreria. La città ha riscoperto con interesse e commozione, come dimostrano le espressioni lasciate sul registro dei visitatori in occasione delle vari esposizioni, a Capodimonte, a Castel dell’Ovo e nelle sale del Museo stesso. Alla iniziale rimozione nelle famiglie degli “scugnizzi” dovuta a un sentimento di comprensibile pudore verso le proprie vicende è subentrato il riconoscimento dell’importanza dell’esperienza sulla Nave “Caracciolo” da parte dei discendenti dei “caracciolini”, protagonisti di un’esperienza educativa di avanguardia, dovuta al genio pedagogico di Giulia Civita Franceschi, la “Montessori del mare”. A questa grande figura non è stata ancora intitolata una strada o una scuola di Napoli ed, anche in questo caso, ci troviamo dinanzi a una delle tante “promesse” non mantenute dalle nostre Istituzioni.
Il rapporto tra la cultura marittima ed il tessuto sociale del territorio di riferimento è piuttosto complesso, richiederebbe approfondimenti e non mi azzardo a fare analisi sociologiche e politiche improvvisate.
Parlando del rapporto tra Napoli e la cultura marinara, in prima battuta si può dire che Napoli rimuove, ha rimosso il suo passato marinaro e la sua cultura marittima perché ricordare vorrebbe dire doversi mettere in condizione di dover trasmettere questa cultura ed i suoi amministratori non hanno una visione del futuro che comprenda un Museo all’altezza di questo memorabile passato. Diverso è il caso della Campania e dei suoi centri marinari che hanno espresso una cultura marinara e vissuto il mare con la presenza sul territorio di attività marinare quali la pesca, la cantieristica, con tutti i mestieri dell’indotto (maestri d’ascia, fabbri, velai, calafati), per la costruzione di eccezionale qualità commissionate da imprenditori armatori locali e da armatori liguri siciliani e sudamericani che poi davano lavoro a capitani comandanti e marinai.
Basti ricordare che Pozzuoli, Procida, Ischia, Bagnoli nei Campi Flegrei, Sorrento, Meta, Piano, Castellammare, Amalfi nella penisola sorrentina, Salerno e Palinuro nella costiera a Sud hanno espresso ed esprimono una presenza ed una cultura marinara legata al territorio (con le scuole di formazione di ufficiali e costruttori, le feste popolari, gli ex voto e le navi) che le rendono vere comunità di mare sicché già a partire dell’800, la marineria Campana presente in tutti gli oceani era al pari di quella ligure.
Foto: Museo del Mare
Indirizzo: Museo del Mare, Via di Pozzuoli, 5
Telefono: 081 6173749
Sito web: www.museodelmarenapoli.it