Tra le tante conseguenze negative portate dalla pandemia del Coronavirus risalta all’occhio un effetto positivo per il Sud, con lo smartworking sempre più presente infatti si è limitata la fuga dei giovani laureati del Mezzogiorno verso il meridione.
Sono infatti 45 mila i ritorni nelle terre del Sud di lavoratori che al momento operano in smartworking. I dati sono stati forniti da Datamining per conto di Svimez e sono stati registrati su un campione di aziende con un numero di dipendenti superiore ai 250.
Nell’ultimo ventennio infatti i lavoratori della fascia d’età compresa tra i 25 ed i 34 anni sono emigrati nelle grandi aziende del centro-nord. Una fuga che è stata frenata bruscamente dalla pandemia. Sono infatti circa 100 mila i lavoratori che hanno fatto rientro a casa. Di questo numero, poco meno della metà appartengono alle grandi aziende mentre l’altra metà è costituita da lavoratori di piccole o medie imprese.
Si tratta quindi di un fattore su cui tener conto per evitare la continua emigrazione di questi giovani. Per migliorare ancora questi dati però i dipendenti devono essere messi nelle giuste condizioni. Queste le parole in una nota della Svimez: “Poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centro-Nord la possibilità di lavorare dai rispettivi territori di origine potrebbe costituire un inedito e quanto mai opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese.”
Lo smartworking al sud inoltre attrae a sé alcuni grandi vantaggi come la riduzione del costo della vita e di un’abitazione. Ed ancora, gli orari più flessibili e meno inquinamento dovuto ai mancati spostamenti. D’altro canto le aziende lamentano il mancato controllo sul dipendente e sulla rete informatica.