In tempi di pandemia tutto ciò che era precario lo è diventato ancor di più. E tra i più colpiti ci sono senza dubbio i lavoratori dello spettacolo, scesi oggi in presidio permanente fuori al Teatro Mercadante di Napoli per chiedere alle istituzioni maggiori tutele. Una categoria eterogenea, che comprende musicisti, attori, pittori, ma anche gli operatori del service, ossia quello che risulta essere il “vero anello mancante di tutto il settore” – come spiega Raffaele Vitale, presidente di Fedas (Federazione Aziende Spettacolo).
“Noi ci occupiamo di tutto, lavoriamo nei teatri, nelle discoteche, perfino nelle processioni. Ci occupiamo di tutta l’infrastruttura legata agli eventi, e siamo ormai fermi da febbraio dell’anno scorso, a parte la breve parentesi estiva. Tra l’altro non siamo neanche una categoria riconosciuta a livello nazionale, sebbene contiamo 60mila persone impiegate nel comparto in tutta Italia. Ciò ha anche significato che i ristori a noi assegnati siano stati assimilati a quelli dei ristoratori, non adeguati alle nostre necessità. Ed infatti abbiamo subito anche delle perdite: un nostro collega di Padova, Omar, si è tolto la vita perché non ce la faceva più con la sua piccola azienda, aveva 41 anni. Noi consideriamo la sua morte come un omicidio di Stato, ci hanno tolto la dignità di esseri umani, di lavoratori”.
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Pubblicato da FEDAS – Federazione Italiana Aziende dello Spettacolo su Martedì 23 febbraio 2021
“Però possiamo riaprire in ogni momento” – gli fanno eco Raffaele Sguazzo ed Enrico Landi, anche loro aderenti al Fedas:
“Vogliamo discutere un protocollo di sicurezza con le istituzioni: ad esempio con le prenotazioni ai teatri riusciamo a fare maggiore prevenzione rispetto ad altri settori dove invece è più difficile, lo dimostra il fatto che come categoria abbiamo avuto pochissimi positivi al Covid”.
Tra i manifestanti spiccavano anche le maschere teatrali con le loro divise tirate a lucido: “Rispetto agli altri operatori siamo stati quelli leggermente più fortunati” – racconta Maria Francesca Di Costanzo, maschera del teatro Mercadante.
“In estate siamo riusciti a rimanere aperti, a parte la brevissima parentesi di ottobre quando ci hanno chiuso di nuovo senza preavviso. Su Napoli lavoriamo in sedici, la maggior parte di noi opera attraverso un’agenzia esterna, “Animania”, che ha in gestione diverse sale. I nostri sono contratti part-time, quindi anche la cassa integrazione che percepiamo è ridotta. Vorrei tornare di nuovo all’opera per rendermi utile, con gli spettatori si è ormai instaurata un’empatia naturale, lavoro al Mercadante dal 2017. Considero questo teatro come casa mia”.
E per sostenere in questa fase tanti uomini e donne che hanno fatto dell’arte la loro professione servono misure concrete. “Ci vuole un reddito unico che duri fino alla fine di questa pandemia” – sottolineano Paolo Esposito e Massimo Ferrante, artisti del gruppo di musica popolare E’ Zezi.
“Inizialmente avevano rapportato i ristori al versamento dei contributi per 30 giorni continuativi, il che è assolutamente impossibile per chi opera nello spettacolo, perché noi veniamo chiamati sempre saltuariamente. Poi lo hanno abbassato a 7 giorni, ed una parte di noi è riuscita ad accedere a tre ristori da mille euro ciascuno. Non rientriamo neanche nella Naspi perché dovremmo versare questi 30 giorni di contributi”.
E quando mancano le norme, le cose diventano ancora più complicate. “Buona parte del nostro lavoro si svolge a nero” – aggiunge Ferrante. “Ad esempio le live nei locali non sono regolamentate, altrimenti i titolari si troverebbero a pagare una marea di tasse, spesso si tratta di spazi che hanno appena venti posti a sedere. Io li capisco, è tutto il sistema che è sbagliato”.
Ed anche il Sì Cobas era a fianco dei lavoratori, come spiega Salvatore Cosentino: “Questa non è solo una piazza napoletana, ma va vista come nazionale. Quello che chiediamo a governo e regione è un tavolo interistituzionale che recepisca le nostre proposte per combattere la precarizzazione. Insieme ai disoccupati del 7 novembre (anche loro in piazza oggi, nda) portiamo oggi la nostra solidarietà, e chiediamo che siano i lavoratori, i proletari, a portare le istanze nelle istituzioni, senza che le scelte siano calate dall’alto.”