I pazienti con mieloma multiplo sono tra i più fragili nei confronti del Covid-19. Non solo perché se contagiati hanno un maggior rischio di andare incontro a complicanze gravi, soprattutto polmoniti, ma anche perché devono spesso recarsi in ospedale per controlli e terapie. Al momento non c’è una terapia in grado di eradicare la malattia e quindi di guarirla definitivamente, ma negli ultimi anni si sono fatti importanti passi in avanti per trattare anche i casi più difficili.
L’ultimo di questi è stato individuare un nuovo ‘target’ sulla superficie delle cellule malate, nel quale è possibile inserirsi per colpirle. In sostanza un ‘bug’, un ‘varco’, da sfruttare. A farlo è un anticorpo monoclonale ‘coniugato’, composto cioè da due molecole: un anticorpo monoclonale umanizzato (belantamab) e un elemento (mafodotin) in grado di entrare nella cellula per colpire una proteina ‘chiave’ per lo sviluppo della malattia (BCMA, antigene di maturazione delle cellule B).
Questa nuova terapia, in assoluto la prima nel suo genere, ha dimostrato negli studi clinici di essere in grado di controllare il mieloma e di aumentare la sopravvivenza in pazienti pluritrattati, per i quali non esistono ad oggi ulteriori possibilità terapeutiche. Tra qualche mese sarà disponibile anche in Italia, dove si calcola che annualmente siano circa 200 i pazienti che potranno beneficiarne da subito, delle circa 5000 nuove diagnosi di mieloma. Ma grazie all’approvazione europea il farmaco è stato anche inserito nell’Expanded Access Program, che fino all’approvazione da parte di AIFA ne consente l’uso in particolari situazioni cliniche: grazie a questo programma,belantamab mafodotin è già stato fornito gratuitamente dall’azienda produttrice a 49 Centri in 15 Regioni per curare 70 pazienti che altrimenti non avrebbero avuto alcuna alternativa terapeutica.
“Nella nostra Regione ogni anno si ammalano di mieloma multiplo 500 persone ogni anno – spiega Felicetto Ferrara, direttore UOC di Ematologia all’Ospedale Cardarelli di Napoli –. Di queste, la grande maggioranza va incontro a recidiva della malattia e, per una percentuale non trascurabile, il farmaco è più di una speranza. Nel nostro centro di ematologia vengono seguiti prevalentemente in regime di day-hospital 170 pazienti /anno con i regimi terapeutici più avanzati, incluso il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche. Ovviamente i nuovi farmaci vengono considerati appena possibile, grazie anche al cosidetto EAP (expanded access program) che viene messo a disposizione dalle Aziende Farmaceutiche, prima dell’immissione in commercio. Ciò ci consente di familiarizzare con il nuovo farmaco e di essere in grado di somministrarlo con le modalità ottimali una volta pienamente disponibile. Siamo inoltre coinvolti in diversi studi clinici su nuovi farmaci nelle malattie tumorali del sangue, incluso il mieloma multiplo.
Il trattamento con belantamab mafodotin, che prevede un’infusione endovenosa ogni 3 settimane, nello studio clinico DREAMM-2 ha ottenuto un tasso di risposta globale del 32%; oltre la metà dei pazienti (58%) ha raggiunto un’ottima risposta parziale o superiore, in alcuni casi totalmente completa, e la sopravvivenza globale mediana è stata di circa 14 mesi, quasi triplicata rispetto ai risultati che oggi si raggiungono in pratica clinica nello stesso tipo di trattamento. Numeri importanti, dunque, che aprono nuovi scenari nella lunga sfida al mieloma multiplo, non ancora vinta ma che riusciamo a combattere sempre con più armi a disposizione.
“L’indicazione all’uso di questa nuova molecola in pazienti con mieloma multiplo recidivato o refrattario pesantemente pretrattati è una tappa importante nella nostra pratica clinica – aggiunge il prof. Ferrara –. Il merito di questo nuovo anticorpo monoclonale ‘coniugato’ risiede nel meccanismo di azione innovativo diretto verso il BCMA, una proteina espressa in maniera tanto più importante sulla superficie delle cellule quanto più grave e avanzato è il mieloma”. In altri termini, l’anticorpo monoclonale Belantamab si lega al recettore cellulare di BCMA e impedisce la proliferazione della cellula tumorale che per sopravvivere necessita del legame recettore/BCMA. Va aggiunto che BCMA è largamente espresso nella quasi totalità delle cellule mielomatose, per cui è possibile impiegare Belantamab nella totalità dei pazienti. La somministrazione ogni 3 settimane rappresenta un ulteriore indubbio vantaggio, soprattutto in un periodo nel quale gli accessi in ospedale vanno riotti al minimo, in particolare per la popolazione anziana. Va ricordato che in oltre la metà dei pazienti con mieloma multiplo, la diagnosi viene effettuata in età superiore a 70 anni; in questa popolazione fragile la riduzione degli accessi in ospedale acquisisce particolare rilievo clinico .
“Belantamab– conclude il prof. Ferrara – ci consente oggi di offrire una nuova speranza ai pazienti con mieloma, quella di guardare a domani e vedere la possibilità di trascorrere più tempo con i loro cari. La lotta contro il cancro è fatta di piccoli passi quotidiani, a volte di improvvise accelerazioni o di strategie e approcci diversi. In questo caso abbiamo scoperto dove il mieloma è più vulnerabile ed abbiamo aperto un altro fronte. Per ora possiamo curare una piccola parte dei malati ma credo che gli sviluppi futuri, anche di questo farmaco, apriranno nuovi scenari, certamente positivi” cob impiego in fasi più precoci della malattia.