Due scoperte campane potrebbero fornire un aiuto fondamentale per individuare precocemente la gravità del covid nelle persone e la sua contagiosità. Sarebbero alcune spie molecolari a dare le risposte che da oltre un anno i ricercatori di tutti il mondo stavano cercando. Gli studi sono stati pubblicati sulle riviste ‘Diagnostics’ e ‘Scientific Reports’ e si devono alla Task Force Covid 19 del Ceinge-Biotecnologie avanzate di Napoli, finanziata dalla Regione Campania e coordinata dal genetista Massimo Zollo.
Ancora un’eccellenza quindi della nostra terra. La prima scoperta è stata pubblicata sulla rivista ‘Diagnostics’ da Ettore Capoluongo e Massimo Zollo, dell’Università Federico II di Napoli e principal investigator del Ceinge, con il supporto del Coronet Lab del Ceinge. Come si legge sul sito:
“Poiché i trascritti subgenomici (sgN e sgE) sono considerati marcatori di attività virale, abbiamo valutato questi trascritti subgenomici in relazione all’amplificazione genomica ottenuta utilizzando cinque diversi strumenti commerciali CE-IVD. Metodi: Cinque kit CE-IVD sono stati confrontati in termini di capacità di rilevare sia costrutti virali SARS-CoV-2 sintetici (addizionati in mezzo TMB o PBS) che bersagli (geni N, E, RdRp e Orf1ab) in venti COVID-19 –Tamponi positivi dei pazienti. Lo sgN e lo sgE sono stati analizzati mediante RT-qPCR in tempo reale e PCR digitale. Nessuno dei kit diagnostici ha mancato i geni target virali quando sono stati applicati a target addizionati di TMB o PBS (a diluizioni comprese tra 100 pg e 0,1 pg). Tuttavia, una volta applicati all’RNA estratto dai tamponi dei pazienti, la sovrapponibilità variava dal 50% al 100%, indipendentemente dalla procedura di estrazione. Il trascritto dell’RNA dello sgN è stato rilevato solo in campioni con una carica virale più elevata (Ct ≤ 22,5), mentre lo sgE rientrava in tutti gli intervalli Ct. Conclusioni: i cinque kit mostrano prestazioni variabili a seconda del layout del dosaggio. È degno di nota che la rilevazione del trascritto sgN è associata ad una maggiore carica virale, rappresentando così un nuovo marker di infezione precoce e più grave“.
In pratica è stato ideato un kit che possa misurare la carica virale. Come spiegato all’Ansa dall’amministratore delegato del Ceinge, Mariano Giustino:
“Il test capace di rilevarlo è pronto e coperto da brevetto. Abbiamo già avviato contatti per la produzione di un kit per applicazioni cliniche”.
La seconda scoperta è stata invece pubblicata su ‘Scientific Reports’ dal gruppo del Ceinge guidato da Margherita Ruoppolo e Giuseppe Castaldo, dell’Università Federico II di Napoli. Essa permette di prevedere se la malattia avrà un decorso grave semplicemente con un prelievo. La spia ricercata nel sangue appartiene alla famiglia di molecole chiamate ceramidi. Più esse sono concentrate, più la malattia avrà un decorso grave.
Come spiegato all’Ansa dalla Ruoppolo e da Giustino:
“E possibile pensare di poter utilizzare tali marcatori per valutare l’efficacia del trattamento terapeutico dell’infezione da coronavirus in pazienti affetti da una forma grave. Per le varie applicazioni cliniche di questo test abbiamo depositato l’idea e siamo in attesa del brevetto definitivo”.
Per il presidente del Ceinge, Pietro Forestieri, le due ricerche sono:
“Tra i più interessanti risultati ottenuti dalla Task Force Covid-19 del Ceinge che da mesi, grazie a finanziamenti regionali, lavora su tre fronti: genetica, diagnosi e terapia. Ci auguriamo di poter contare su ulteriori finanziamenti per portare a termine ulteriori ricerche estremamente promettenti”.