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Covid, la variante inglese aumenta la mortalità del 61%: lo studio inglese

La variante inglese oltre a essere più contagiosa e anche più letale. A confermare quello che tutti sospettavano, dato l’aumento dei decessi e dei casi sintomatici registrati in Campania e in tutta Italia negli ultimi giorni, è uno studio inglese pubblicato su Nature.

Il virologo Roberto Burioni prova a fare chiarezza su questo aspetto e rettifica in parte quando detto ieri da Fazio:

“In questa confusione, parliamo di scienza. Ieri sera, a Che Tempo Che Fa, vi ho detto che la variante inglese (B.1.1.7) è certamente molto più contagiosa, ma che non c’erano ancora prove convincenti di una sua maggiore “letalità”. Purtroppo queste prove sono arrivate stamattina. Con una analisi molto complicata (chi vuole può leggersi il lavoro) è stato stabilito che l’infezione con la “variante inglese” aumenta di circa il 50% la mortalità rispetto all’infezione con il ceppo originale. Per essere più chiari, una persona della mia età (maschio tra i 55 e 69 anni, in buona salute e senza problemi particolari) passa da un rischio di morte dello 0,6% a un rischio dello 0,9%. La buona notizia è che la “variante inglese” è bloccata perfettamente dai vaccini disponibili, anche da quello prodotto da AstraZeneca. Dunque è un nemico che possiamo affrontare e vincere”.

In questa confusione, parliamo di scienza.

Ieri sera, a Che Tempo Che Fa, vi ho detto che la variante inglese…

Pubblicato da Medical Facts di Roberto Burioni su Lunedì 15 marzo 2021

Nello studio, sulla variante inglese (B.1.1 .7) si legge:

“Qui analizziamo un set di dati che collega 2.245.263 test comunitari SARS-CoV-2 positivi e 17.452 morti per COVID-19 in Inghilterra dal 1 ° settembre 2020 al 14 febbraio 2021. Per 1.146.534 (51%) di questi test, la presenza o l’assenza di B.1.1 .7 può essere identificato a causa di mutazioni in questo lignaggio che impediscono l’amplificazione PCR del gene bersaglio del picco (fallimento del bersaglio del gene S, SGTF1). Sulla base di 4.945 decessi con stato SGTF noto, stimiamo che il rischio di morte associato a SGTF sia più alto del 55% (IC 95% 39-72%) dopo aggiustamento per età, sesso, etnia, privazione, residenza in casa di cura, autorità locale di residenza e data del test. Ciò corrisponde al rischio assoluto di morte per un maschio di 55-69 anni che aumenta dallo 0,6% allo 0,9% (IC 95% 0,8-1,0%) entro 28 giorni dopo un test positivo nella comunità. Correggendo l’errata classificazione di SGTF e la mancanza nello stato SGTF, stimiamo un rischio di morte maggiore del 61% (42-82%) associato a B.1.1.7. La nostra analisi suggerisce che B.1.1.7 non solo è più trasmissibile delle varianti SARS-CoV-2 preesistenti, ma può anche causare malattie più gravi”.