Siamo ripiombati nell’Ottocento, quando i diritti fondamentali erano ancora prerogativa delle classi agiate. La pandemia globale ci consegna una società dove una nobile casta deride le persone normali a suon di privilegi ed esclusività. E mentre gran parte degli italiani si prepara a vivere la Pasqua con limitazioni e l’obbligo di rintanarsi a casa, i ricchi, i vip e i benestanti, preparano le valigie per imbarcarsi verso mete esotiche. In barba alla crisi economica, alla perdita dei posti di lavoro e alla mancanza di una seria prospettiva di ripresa.
Non stiamo raccontando una barzelletta ma la dura verità, difficile da accettare. Il Paese blindato almeno fino al 30 aprile con l’impossibilità di infrangere i confini regionali. Ma si autorizzano i viaggi all’estero, le crociere e weekend nelle seconde case. Una ingiustizia sociale che per la verità è comune a gran parte degli stati dell’Unione Europea. Questa decisione ha scatenato le ire degli italiani, indignati per una disparità di trattamento in un momento di grande stress emotivo per le continue restrizioni che da un anno a questa parte regolano le nostre vite. Il Governo prova a metterci una toppa con una ordinanza. Il Ministro Speranza dispone per tutti i cittadini italiani di rientro dall’estero, anche dai Paesi dell’Unione, un tampone, una quarantena di cinque giorni e un ulteriore test per verificare la mancanza di positività.
Rimane la facoltà di concedersi giorni spensierati, lontani da chiusure e immobilità. Del resto l’Italia è uno dei Paesi che rappresenta meglio le disuguaglianze. Basti pensare all’eterno divario territoriale Nord-Sud mai risolto ed anzi ampliato dalla crisi economica innescata dalla pandemia. Già in pieno lockdown nell’aprile dello scorso anno, lo Svimez aveva messo in guardia sulle ricadute imponenti nelle regioni del Mezzogiorno ipotizzando una ripresa con maggiori affanni dalla cintola in già del Paese. A confermare i timori dell’associazione ci ha pensato Bankitalia nel rapporto “L’economia delle regioni italiane – Dinamiche recenti e aspetti strutturali”. Nel documento si legge che la flessione è stata più marcata al Nord, area più industrializzata del Paese, ma le ricadute occupazionali interessano di più il Sud con una perdita di 4,4% dei posti di lavoro, a fronte del 1,2% del Centro-Nord e 1,1% del Centro. Ciò accadeva già nel secondo trimestre del 2020. Le ragioni vanno rintracciate nella struttura produttiva del meridione, diversa rispetto al resto d’Italia, che vive di turismo e di attività con forme di lavoro temporanee e precarie. Da qui la mancata copertura degli ammortizzatori sociali come lo stop ai licenziamenti o l’integrazione salariale che, invece, ha contenuto la crisi al Centro-Nord.
La pandemia ha scoperchiato anche la disuguaglianza di genere. I dati arrivano dall’Istat che rileva in tutto il 2020 una perdita complessiva di 444 mila posti di lavoro, il 70% sono donne. Solo nel mese di dicembre scorso su 101 mila nuovi disoccupati, ben 99 mila appartiene al genere femminile. Stiamo parlando del 98%. La parità di genere nella sfera economica è prevista solamente tra 257 anni. Un dato quello calcolato dal Global Gender Gap Report 2020 che fotografa perfettamente la precarietà delle donne nel mondo del lavoro e di rimando l’instabilità finanziaria delle famiglie. Le ragioni del tracollo dell’occupazione femminile vanno rintracciate nella natura stessa degli impieghi. Le donne sono impiegate soprattutto in ambito domestico e dei servizi, settori tra i più falcidiati dalla crisi economica.