Tali ricerche sono finalizzate non solo alla comprensione della sopravvivenza del virus, ma anche a comprendere quali meccanismi ci siano dietro di essa, con la speranza di poter capire come creare delle superfici che si preservino dal Coronavirus. Dalle ricerche è emerso che il virus ha vita breve su materiali come il vetro, ma prolungata è la sua esistenza su alcune tipologie di plastiche.
Inoltre le osservazioni scientifiche condotte da Nicolò Di Novo sotto la supervisione di Nicola Pugno dell’Università di Trento, in collaborazione con Massimiliano Fraldi, Giuseppe Mensitieri e Angelo Rosario Carotenuto dell’Università Federico II di Napoli, hanno fatto emergere che: le gocce microscopiche di saliva che si disperdono nel parlare, tossire e starnutire rimangono in parte sospese nell’aria e in parte si depositano sulle superfici, a seconda della loro dimensione.
Ma non solo: gli studiosi hanno rilevato che a influire notevolmente sulla mortalità del virus influiscano le condizioni climatiche. Un livello intermedio di umidità non consente al virus in questione di sopravvivere a lungo. A tal proposito gli studiosi interessati hanno concluso le loro analisi sostenendo: “dal lavoro scientifico emerge per la prima volta una descrizione chiara del meccanismo che porta a una maggiore mortalità dei virus a umidità intermedie”.
Gli studi dei due atenei hanno così dato una fondata risposta a una domanda molto frequente da inizio pandemia.