Scoperta sul cancro, ricercatrice napoletana negli USA: “In Italia ho lavorato anche gratis”
Giu 02, 2021 - Claudia Ausilio
Quando sentiamo parlare di “fuga di cervelli” pensiamo subito ai tanti giovani che “scappano” all’estero per avere un lavoro e una posizione migliore, uno stipendio all’altezza del ruolo che si ricopre.
Eppure per la maggior parte di loro non è così. Molti sono costretti a farlo, ad abbandonare la propria terra, i propri affetti pur di lavorare e di sentirsi motivati. Già, quella motivazione che molte volte manca a chi è nato in Italia e al Sud in particolare.
Francesca Puca, ricercatrice napoletana negli USA
La storia di Francesca Puca, è solo una delle tante che vede protagonisti giovani menti geniali che per seguire le proprie aspirazioni sono costretti a mettere dei chilometri di distanza dalla propria casa. Ricercatrice napoletana si è trasferita nel 2015 in Texas, presso l’University of Texas M. D. Anderson Cancer Center. Oggi è la principale autrice di un importante studio sul Glioblastoma.
“Mi sono laureata a Napoli in biotecnologie mediche – ci ha raccontato Francesca – e già durante l’università avevo deciso che volevo fare un’esperienza fuori dall’Italia, così ho trascorso sei mesi a Parigi beneficiando del progetto Erasmus“.
“Lo scambio tra diversi Paesi è sempre produttivo, – continua – perché ho acquisito una forma mentis che mi ha portato a capire quello che volevo fare e quello che avrei fatto“.
“Ho fatto comunque il dottorato a Napoli, nonostante volessi fare un’esperienza all’estero. Poi per il Postdoc ho mandato il mio curriculum a diversi laboratori all’estero, tra cui all’M. D. Anderson Cancer Center, ho fatto il colloquio e mi hanno preso. Avevo deciso di andare lì perché è un centro molto noto in tutto il mondo ed è il primo negli USA per la cura contro il cancro“, ci dice.
“Io sono qui dal 2015, non mi aspettavo di rimanere così a lungo ma qui l’offerta è molto competitiva. All’estero si lavora in condizioni migliori e con stipendi più alti. Non vi nascondo che in Italia ho lavorato anche gratis. – ha proseguito – L’Italia possiede grandi talenti ma deve essere in grado offrire loro le giuste opportunità o quanto meno di riportare indietro le persone che se ne vanno fuori. Qui ho modo di confrontarmi con tanti italiani che vorrebbero tornare, non solo nel campo della ricerca, ma anche in altri settori“.
La scoperta di Francesca Puca e del suo team di lavoro consiste nell’aver individuato una nuova funzione per l’enzima metabolico acil-CoA deidrogenasi specifico per gli acidi grassi a catena media (MCAD) nel glioblastoma (GBM). MCAD sarebbe in grado di prevenire l’accumulo di lipidi tossici nelle cellule di glioblastoma, dando loro un enorme vantaggio nella crescita. Bloccare MCAD provoca danni irreversibili e morte cellulare selettivamente nelle cellule tumorali.
Ma questo studio poteva essere condotto ugualmente in Italia?
“In base alla mia esperienza, non credo che in Italia sarebbe stato così semplice condurre uno studio di questa portata, – afferma la ricercatrice – qui a Houston il livello di tecnologia è diverso. Le strumentazioni sono di alto livello e abbiamo rapido accesso alle tecnologie di ultima generazione. Tra i contro ci sono le difficoltà iniziali, ma tra i pro è che qui la ricerca scientifica è finanziata molto bene e quindi tutto ciò è possibile“.
“Io e il mio gruppo di ricerca volevamo comprendere meglio il metabolismo nel glioblastoma, se c’era qualcosa che potessimo attaccare per renderlo più vulnerabile. – prosegue – Abbiamo fatto uno screening genetico, sono venuti fuori degli enzimi coinvolti nel metabolismo di acidi grassi, e volevamo innanzitutto capire se bloccare questi enzimi nelle cellule tumorali le privasse di energia, le “affamasse”. Quello che è emerso è molto più interessante: nel glioblastoma questo enzima ha la funzione di detossificare le cellule tumorali da sottoprodotti tossici derivanti proprio dal metabolismo degli acidi grassi, quindi abbiamo scoperto una nuova funzione di questo enzima“.
Il prossimo passo è un farmaco
“Ci stiamo lavorando, – continua Francesca – qui all’ M. D. Anderson Cancer Center esiste un team di drug discovery, dove partono quasi da zero per fare un farmaco che in questo caso avra’ la funzione di bloccare questo enzima. Ovviamente, sara’ un percorso lungo e incerto, ma noi teniamo alte le nostre speranze“.
“E’ fuorviante dire che abbiamo trovato una cura, ma sicuramente è un grosso passo in avanti per comprendere le basi che ci permetteranno potenzialmente di combattere la malattia. La ricerca scientifica e’ fatta di piccoli passi e tanto lavoro. L’esempio più incoraggiante dei tempi recenti lo abbiamo avuto con l’immunoterapia: si è andati avanti a piccoli passi fino ad oggi. Qui all’ MD Anderson possiamo vantarci di avere il Dr Jim Allison, colui che insieme al suo team ha scoperto l’immunoterapia e questo lavoro (di una vita) gli e’ valso il premio Nobel per la Medicina nel 2018. L’immunoterapia ora e’ in clinica e molti pazienti rispondono in modo straordinario“, conclude.