Negli ultimi anni il percorso universitario sembra essere diventato una gara a chi arriva prima al traguardo. Proprio di qualche giorno fa è la notizia della prodigiosa Federica Lorenzetti, la più giovane laureata d’Italia in Giurisprudenza, con una laurea record di tre anni e mezzo per concludere gli studi. O ancora Francesco Di Carlo, anche lui laureato in Giurisprudenza a soli 22 anni, con un percorso durato tre anni e qualche mese, per un voto di 110 e lode.
Eppure, dietro queste stupefacenti realtà si nascondono degli indizi poco promettenti: infatti, secondo i dati dell’Osservatorio italiano per l’educazione, l’Italia è tra gli ultimi posti per quota di laureati tra i paesi UE e, analizzando i dati sulle iscrizioni dei neo-diplomati, emerge come in diverse aree il passaggio diretto da scuola superiore a università riguardi meno della metà dei ragazzi. La percentuale di laureati italiani arriva solo al 27,6% tra 30-34 anni, portando l’Italia penultima in classifica, seguita solo dalla Romania a quota 25,8%. Per quanto riguarda il passaggio dalla scuola superiore all’università, agli ultimi posti troviamo le grandi regioni del sud: Calabria, Puglia, Sicilia e Campania sono le uniche dove meno del 50% dei neo-diplomati ha intenzione di conseguire una laurea iscrivendosi all’università lo stesso anno in cui ha conseguito il diploma.
Il grande divario tra l’Italia e gli altri paesi europei, ma anche tra le varie regioni italiane, è da cercare nelle opportunità di vita che ogni individuo ha: l’ambiente in cui nasce, le possibilità economiche, l’importanza della scolarizzazione per la famiglia, l’opportunità di poter o meno ambire a tutti i livelli dell’educazione scolastica, incontrare più o meno ostacoli durante il percorso formativo.
Perciò parlare di prodigi lascia indietro molte persone che vivono un percorso scolastico meno facilitato, per mancato privilegio di nascita o per problemi legati alla concentrazione e all’ansia, e quindi per delle condizioni indipendenti dalla loro volontà. Così come parlare di prodigi sminuisce anche chi affronta la scuola e l’università in modo brillante, ma del tutto “normale”, nei tempi prestabiliti, con le difficoltà che ogni percorso del genere può presentare, come succede per gli studenti lavoratori. Inoltre, parlare di prodigi mette in una condizione di inferiorità anche chi, nel periodo di Covid, non è riuscito a stare al passo con gli studi e con i tempi prefissati: molti studenti infatti hanno vissuto la pandemia in modo molto negativo, vivendo momenti di grande stress e ansia, che hanno avuto un forte impatto sulla salute mentale e sul rendimento generale.
La realtà dell’istruzione italiana si può riassumere in questo modo: l’Italia non è un paese di portenti, piuttosto è un paese dove pochi hanno tutte le opportunità per esplorare i propri talenti, mentre per molti non è possibile farlo. Lo scopo dell’istituzione ad ogni livello dovrebbe essere quello di valorizzare ognuno non secondo le proprie possibilità, ma secondo ogni opportunità possibile, allo stesso modo per tutti.