Uno studio italiano ha analizzato il modo in cui il covid penetra nell’organismo umano, arrivando a concludere che, nelle forme più gravi, l’infezione potrebbe attaccare non solo i polmoni ma diversi organi e potenzialmente il corpo intero.
Per fare ciò il virus si servirebbe di alcune proteine che vengono definite ‘interruttori universali’. Il contributo dell’Università di Brescia, guidato dalla dott. Francesca Caccuri, è stato pubblicato sulla rivista scientifica ‘Microorganisms’.
Diversi sono stati gli esperti che hanno constatato il modo in cui l’infezione da Sars-CoV-2 produca conseguenze dannose non solo a carico dell’apparato respiratorio. Buona parte degli studi condotti hanno rilevato, ad esempio, anche la compromissione delle funzionalità neurologiche. Non da meno, inoltre, i risvolti negativi a livello psicologico, registrati soprattutto durante il periodo del lockdown.
Ad oggi il nuovo studio, presentato nel corso del 5° Congresso nazionale della Società italiana di Virologia, guidata dal dott. Arnaldo Caruso, sottolinea la funzione di alcune proteine che riuscirebbero a far sì che l’infezione si diffonda all’interno dell’organismo, non soffermandosi soltanto ai polmoni. Si chiamano integrine e vengono definite ‘interruttori universali’ proprio per la capacità di ‘aprire’ la strada al virus che, nelle forme gravi, riuscirebbe così ad invadere diversi organi.
Lo stesso prof. Caruso, all’Adnkronos Salute, ha spiegato: “L’importanza dello studio è in particolare la dimostrazione della via di interazione tra virus e cellule endoteliali. Un meccanismo che indica nelle integrine nuovi potenziali bersagli terapeutici contro il covid-19”.
“La ricerca identifica per la prima volta le integrine come recettori alternativi ad Ace2 per permettere l’infezione delle cellule endoteliali e virtualmente di tutte le cellule umane che non esprimono il recettore Ace2. Infatti, le integrine, al contrario di Ace2, sono recettori espressi universalmente sulle cellule del nostro organismo. L’utilizzo da parte del Sars-Cov-2 di questo recettore potrebbe spiegare il coinvolgimento multiorgano tipico delle forme gravi di covid”.
La ricerca, dunque, potrebbe contribuire alla sperimentazione di nuove terapie che possano agire proprio a livello delle integrine, contrastando la diffusione del virus e limitando la gravità della malattia.