Troppo spesso succede che si parta da periodi fuori contesto, parole sradicate dal loro orizzonte di senso, assottigliamenti e semplificazioni dello spessore umano e morale attraverso le immagini del web, per montare casi mediatici e campagne denigratorie contro terzi, solo per qualche visualizzazione in più, per qualche click in aggiunta ad altri, a caccia di proposte pubblicitarie.
Questo sembrerebbe esser successo con il Corriere del Mezzogiorno, magnifica e storica testata che raccoglie ancora professionisti del giornalismo di spessore e grande preparazione, persone che, al contrario della maggioranza, scrivono molto bene e rammentano ai più che le parole sono importanti, e più delle immagini fanno riflettere.
Purtroppo il Corriere sembra che accusi in maniera dissimulata Peppe Barra di razzismo e xenofobia. Questo fa un cattivo servizio per la città di Napoli e favorisce l’amministrazione comunale a nascondere le sue inadeguatezze politiche ed amministrative in tema di immigrazione. Sotto le vangate di fango e le accuse politicamente corrette di De Magistris e Vecchioni si nasconde un effettivo disastro sociale. Decine di migranti stipati in pochi metri, in condizioni disumane, in situazioni di promiscuità pericolose per loro stessi e per l’igiene pubblica, costretti all’accattonaggio o a lavori precari e schiavili come quelli della raccolta ortofrutticola o di assistenza al prelievo dei carburanti. Il problema c’è ma sembra che si faccia finta che non esista. Si finge di non aver visto nulla.
Peppe Barra è stato negli anni uno dei simboli della cultura meticcia, dell’integrazione europea di tutti i popoli mediterranei, tra cui più di tutti il popolo italiano, che nel suo sangue vanta discendenze greco-romane, arabe, latine e germaniche, asiatiche e africane, americane e precolombiane. Come confermano le interviste del Corriere di tutta la prima metà del mese le cose stanno diversamente, ma l’assenza di approfondimenti critici, le interviste a cantautori come quella a Vecchioni per il Festival dell’Alta Costiera ad Agerola (che sono estranei alla situazione, e invece di scegliere il silenzio sviano e rincarano violentemente il dibattito pubblico), la riproposizione acritica di monologhi da parte del primo cittadino che si fanno araldi del political correct e di strumentalizzazioni, fanno un cattivo servizio di giornalismo.
Peppe Barra nato a Roma nel ’44, cresciuto sin dall’infanzia nell’isola di Procida e formato scolasticamente, accademicamente e professionalmente a Napoli, è una personalità ricchissima e complessa. Inizia a fare teatro con Gennaro Vitiello e fonda la Nuova Compagnia di Canto Popolare con Roberto De Simone. Dagli anni ’70 agli anni ’80 si distilla ecletticamente con molte lavorazioni teatrali importanti, tra cui più di tutte con Vittorio Gassman e i De Filippo. Nel 1980 vince il premio teatrale internazionale IDI San Vincent e nel 1981 la Maschera d’oro. Lavora su Giovan Battista Basile, su Miguel de Cervantes, su Eduardo De Filippo. Nel 1988 vince la Targa Tenco, mentre negli anni ’90 fioccano i grandi successi musicali: Concerto in onore di Eduardo Caliendo, 20 Favole del Pentamerone di Basile per la RAI con le registrazioni dello spettacolo teatrale Lengua Serpentina. Il Premio Dioniso nel 2000 e la collaborazione linguistica e musicale con Fabrizio De André per Bocca di Rosa, lo portano a divenire il direttore artistico della Rassegna Internazionale della Musica Etnica e cittadino onorario di New York.
L’esperienza artistica non è scissa dalle battaglie sociali e politiche dello stesso e Peppe Barra ha inaugurato uno dei primi sforzi di pensiero, d’immaginazione e di inventività pericoloso addirittura a praticarsi per un popolo europeo meticcio, mediterraneo, capace di riconoscersi al di là delle frontiere territoriali, giuridiche, linguistiche, religiose, economiche come un unicum identitario.
Peppe Barra ha proposto una cultura di integrazione culturale al di là dei modelli anglosassoni e nord-europei, ne ha creata una diversa, in quanto non si è solo limitato a informarci su di essa.
Peppe Barra sarà apparso razzista e xenofobo ma sarebbe come dare dell’antisemita a Sigmund Freud. Peppe Barra ci offre una lezione di illuminismo, napoletano e meridionale. Come si è visto anche dal video che lo ha “incriminato” e dagli articoli su di lui, egli è diventato immagine esasperata della Napoli migliore e più colta. Al di là del political correct che striscia nei salotti buoni della città ci riconsegna al pensiero critico e di denuncia, e pone l’attenzione sulla totale indifferenza e impreparazione della politica comunale, regionale e nazionale, di fronte una soggettività nuova, i migranti del tramonto dell’euro.
Questo articolo non vuole prendere le parti di nessuno, ma riconsegnarci il più ampio ventaglio possibile di questa esperienza, riconsegnandolo alla clinica degli eventi e a un’interpretazione meno deformata e metafisica.
Napoli, già prima di Lampedusa, vive grandi esperimenti di integrazione ma anche grandi fallimenti. Come fu per il Regno delle Due Sicilie la Napoli di oggi vive un problema di “Plebe”, la questione politica, sociale ed economica, di un’inondazione di disperati e disgraziati che bussano alle porte della città (e dell’Europa) in cerca di emancipazione dalla miseria e dalla povertà.
Bisogna con Peppe Barra rischiare di prendere posizione, assumersi la responsabilità di essere frainteso, infiammare il dibattito con un briciolo di pensiero critico, capace di raccogliere nuovamente al centro della città le forze fresche migliori per un futuro radioso per la città.