La super variante Deltacron, descritta come combinazione tra le varianti Delta e Omicron, in realtà non sarebbe mai esistita: a confermarlo è uno studio pubblicato sulla celebre rivista scientifica ‘Nature’ che liquida la vicenda facendo leva su un probabile errore di laboratorio.
Ad annunciare l’identificazione del nuovo ceppo era stato il team di Leondios Kostrikis, professore di scienze biologiche all’Università di Cipro e direttore del Laboratorio di biotecnologia e virologia molecolare. In poco tempo la notizia, diffusa da Bloomberg, ha assunto rilievo internazionale.
In molti, tuttavia, avevano già ipotizzato che la mutazione rilevata fosse in realtà il risultato di una contaminazione tra campioni in laboratorio. Krutika Kuppalli, membro del team tecnico covid-19 dell’Organizzazione Mondiale della Sanita, tramite un tweet, aveva spiegato: “Non esiste una cosa come Deltacron. Delta e Omicron non hanno formato nessuna super variante”.
Cheryl Bennett, della fondazione che gestisce la piattaforma Gisaid, database che raggruppa le sequenze genomiche, ha spiegato che errori di sequenziamento o contaminazioni sono molto frequenti, soprattutto con un’emergenza sanitaria in atto. Per tale motivo consiglia un approccio improntato alla cautela: “Correre a conclusioni affrettate su dati che sono stati appena resi disponibili dai laboratori che si trovano sotto una notevole pressione di tempo per generare dati in modo tempestivo non è utile”.
Il sequenziamento di qualsiasi genoma dipende dai primer (brevi frammenti di DNA, ndr). La variante Delta, tuttavia, ha una mutazione nel gene Spike che riduce la capacità di alcuni primer causando maggiori difficoltà per il sequenziamento. Omicron, invece, non condivide questa mutazione. Quindi se alcune particelle sono state mescolate nel campione, a causa della contaminazione, il gene dello Spike sequenziato potrebbe sembrare simile a quello di Omicron. E’ questa la spiegazione fornita da Jeremy Kamil, virologo della Louisiana State University Health Shreveport.
La super variante, dunque, sarebbe ‘nata’ da un errore di contaminazione avvenuto durante le procedure di analisi, acquisendo rilievo attraverso la diffusione di informazioni incomplete e non ancora verificate dalla comunità scientifica.