Uno studio italiano sul Long Covid ha messo in evidenza i sintomi più comuni, i soggetti più a rischio e le differenze tra le sindromi post infezione in base al tipo di contagio: per le diverse varianti, infatti, i postumi non si rivelerebbero uguali. La ricerca sarà presentata al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive del prossimo aprile.
Già in precedenza erano stati rilevati alcuni sintomi che persistevano anche a seguito della guarigione dal virus. Dolori, nebbia mentale e ansia ne risultavano i più comuni. La nuova ricerca, resa nota dall’Adnkronos, realizzata dall’Università degli Studi di Firenze e l’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi, rileva che ogni variante ha il suo Long Covid.
Le stime indicano che oltre la metà dei soggetti colpiti dal virus sperimenta alcuni sintomi a seguito della guarigione. I disturbi interessano sia giovani che anziani, soggetti sani e fragili, persone curate in ospedale ma anche quelle con sintomi lievi.
I ricercatori hanno delineato, innanzitutto, una differenza di genere relativa al Long Covid: sarebbero, infatti, le donne ad essere maggiormente colpite dai disturbi post-covid, quasi il doppio rispetto agli uomini. Le persone con diabete di tipo 2, tra le più colpite dal virus, invece, sembrano essere meno esposte al rischio di riportare disturbi a lungo.
Lo studio osservazionale, condotto su 428 pazienti tra giugno 2020 e giugno 2021, ha dimostrato che il 76% dei soggetti esaminati ha riportato almeno un sintomo persistente. I più comuni sono stati: mancanza di respiro (37%) e affaticamento cronico (36%). In più problemi di sonno e visivi, nebbia cerebrale.
Attraverso un’elaborazione più dettagliata, gli studiosi hanno riferito alcune differenze tra due periodi: quello da marzo a dicembre 2020, quando circolava il ceppo originario, e quello tra gennaio e aprile 2021, quando risultava predominante la variante Alfa. Con la diffusione di quest’ultimo ceppo, infatti, sono aumentati alcuni disturbi post-covid quali mialgia (dolori muscolari), insonnia, nebbia cerebrale, ansia e depressione. Diventavano meno frequenti, invece, la perdita d’olfatto, i problemi di udito e la difficoltà a deglutire.
“Molti dei sintomi riportati in questo studio sono stati misurati ma questa è la prima volta che sono stati collegati a diverse varianti. La lunga durata e l’ampia gamma di sintomi ci ricordano che il problema non sta scomparendo e che dobbiamo fare di più per proteggere questi pazienti a lungo termine” – ha commentato il prof. Michele Spinicci dell’Università degli Studi di Firenze.