Per oltre 23 anni hanno vissuto in famiglie che non erano le loro. Poi per caso, guardando delle foto su Facebook, hanno iniziato a sospettare che alla nascita qualcosa fosse andato storto. Ed effettivamente così era stato perché nel lontano 1989 due bambine vennero scambiate in culla. Si trattava di Antonella e Loreta.
L’errore, effettuato da un ospedale pugliese, è costato caro a due ragazze che hanno vissuto lontano dai loro genitori. Poi come reso noto dall’Ansa, una decina di anni fa è arrivato il test del Dna a mostrare il legame di parentela. Le due infatti avevano visto sui social delle foto dell’altra notato una somiglianza incredibile con le rispettive mamme.
Oggi è arrivata la sentenza del Tribunale civile di Trani che ha riconosciuto un risarcimento dei danni di circa un milione di euro ad una donna di 33 anni e alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello). A pagare – hanno stabilito i giudici – dovrà essere la Regione Puglia, mentre nei confronti delle Asl Bari e Bat, citate in giudizio dalla ricorrente, è stato escluso qualsiasi coinvolgimento perché, all’epoca dei fatti, l’ospedale di Canosa dipendeva dalla Regione.
In particolare la mamma biologica di Lorena, Caterina, riceverà un risarcimento di 215 mila euro, stessa somma per suo marito, mentre 81mila euro andranno all’altro figlio: “per non aver potuto vivere compiutamente la relazione parentale“. All’altra ragazza invece la Regione pagherà circa mezzo milione (la richiesta della donna era stata di 3). Antonella infatti ha vissuto una situazione non facile, suo padre la maltrattava, è finita in un istituto e sua madre ha deciso di darla in adozione.
Nella sentenza riportata dalla agenzie di stampa non vi sono dubbi sullo scambio.
“Dalla ricostruzione dei fatti risulta plausibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che le due neonate siano state scambiate nelle culle del nido, subito dopo il parto: a nessuna delle due, infatti, fu applicato il braccialetto identificativo. Quindi, le puerpere non furono in grado di riconoscere l’errore. Il personale ospedaliero – è scritto in sentenza – ha l’obbligo di operare perché il parto e le successive cure avvengano senza danni, ma anche di “consegnare” alla madre il neonato che ha partorito. Da qui l’inadempimento contrattuale – come lo chiamano i giudici – da parte della struttura e il danno gravissimo provocato alle persone coinvolte nella vicenda”.