Torre Annunziata, trovato un cadavere in avanzato stato di decomposizione nel palazzo crollato nel 2017
Ott 05, 2022 - Chiara Di Tommaso
Il corpo di un uomo privo di vita è stato trovato all’interno di un palazzo abbandonato in via Rampe Nunziante a Torre Annunziata. L’edificio cinque anni fa era venuto giù provocando la morte di 8 persone ma questo ritrovamento non sembra essere collegato a quel fatto di cronaca. Dal 2017 infatti il palazzo era stato sgomberato ed era vuoto.
Torre Annunziata, trovato un cadavere nel palazzo crollato nel 2017
Il cadavere, trovato in avanzato stato di decomposizione, è stato scoperto ieri pomeriggio. A renderlo noto è Il Mattino che spiega come gli agenti del locale commissariato di polizia in queste ore stanno lavorando insieme alla Procura oplontina per risalire all’identità della vittima. Non vi erano documenti utili a risalire al suo nome. Al momento l’ipotesi più accreditata è che l’uomo, probabilmente un senzatetto, abbia cercato riparo nell’edificio abbandonato. Poi a causa di un malore è venuto a mancare nell’indifferenza generale. Soltanto mesi dopo il suo decesso, è stato ritrovato per puro caso il corpo. Nei prossimi giorni sarà disposta un’autopsia per comprendere le cause del decesso e anche la data.
Il crollo del 2017
A perdere la vita nel Palazzo di Torre Annunziata crollato il 7 luglio del 2017 furono 8 persone. Si trattava dei coniugi Giacomo Cuccurullo ed Adelaide (Edy) Laiola, insieme al figlio Marco; i coniugi Anna e Pasquale Guida coi figli di 7 e 14 anni; la signora Giuseppina Aprea, di 65 anni. L’anno scorso per quel crollo furono condannate 10 persone. Tra le cause dei lavori di ristrutturazione del palazzo che ne hanno minato la stabilità.
Per questo furono condannati a 12 anni l’architetto indicato dalla procura come il direttore dei lavori di fatto dell’appartamento in cui si è innescato il crollo; 11 anni e 2 mesi per il direttore dei lavori; 12 anni 6 mesi per il promissario acquirente dell’appartamento interessato dai lavori, 9 anni e mesi per l’operaio “mastro” che, secondo la procura oplontina, eseguì materialmente le opere. Le vittime infatti abitavano agli ultimi due piani ma a cedere fu il primo piano.