E’ morto nella notte, all’età di 61 anni, Matteo Messina Denaro, il boss della mafia nonché latitante più ricercato d’Italia, arrestato dopo 30 anni di ricerche proprio all’interno di una clinica privata di Palermo dove era in cura per quel tumore che non gli ha lasciato scampo.
Soltanto lo scorso gennaio il padrino di Cosa Nostra era finito in manette, segnando l’inizio di un’operazione storica portata avanti con successo dalle forze dell’ordine, coordinata dal Procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e dal Procuratore aggiunto Paolo Guido.
Affetto da una forma tumorale aggressiva al colon, le condizioni di Messina Denaro, già gravi al momento della cattura, sono peggiorate nel corso dei mesi. Lui stesso si era detto preoccupato per la sua salute, lamentando una presunta inadeguatezza delle cure, smentita dal personale medico che lo avrebbe sottoposto alle terapie più avanzate.
“Non ho ricevuto una educazione culturale, ma ho letto centinaia di libri. Sono quindi informato sulle cure, vi prego di poter essere trattato con farmaci e terapie migliori“ – queste erano state le parole rivolte allo staff medico e al personale di polizia penitenziaria subito dopo l’arresto.
Le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro sarebbero precipitate dopo due interventi chirurgici. Negli ultimi giorni è stato sottoposto alla terapia del dolore, mentre le visite dei familiari sono state sospese. In ultimo lo stato di coma irreversibile, dichiarato nella serata di venerdì, e la decisione di sospendere l’alimentazione.
L’ex superlatitante era affetto da una forma aggressiva di cancro al colon retto, definito in medicina adenocarcinoma mucinoso colorettale. Si tratta di uno dei tumori più difficili da superare, con basse probabilità di sopravvivenza. Nonostante il buon esito degli interventi e dei cicli di chemioterapia portate a termine, infatti, il quadro clinico del boss ha subito non poche complicazioni, decretandone la morte.
Matteo Messina Denaro era un uomo avvolto nel più totale mistero: non si aveva una sua foto recente e la sua voce fu registrata solo per caso, e per pochi secondi, durante un’udienza in Tribunale. Era figlio di Ciccio Messina Denaro, un vecchio capo mafia di Castelvetrano anch’egli latitante, che fu trovato soltanto quando era già morto e che nel corso della sua vita diede al figlio sempre più potere.
Era un alleato dei corleonesi che facevano capo a Totò Riina prima, successivamente a Bernardo Provenzano. Ha assunto un ruolo di primaria importanza negli equilibri mafiosi agli inizi degli anni ’90. Nel 1992 fece parte di un gruppo di fuoco che fu inviato a Roma per uccidere Giovanni Falcone. Riina però dispose il ritorno del gruppo decidendo per un attentato diverso per procurare la morte del magistrato. A quel tempo Cosa Nostra era l’organizzazione criminale egemone in Italia, tanto da disporre gli equilibri anche in altri territori, tra cui la Campania.
Tra i crimini più efferati che si legano al suo nome c’è quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido a soli 12 anni, dopo una prigionia durata oltre 2 anni. Un omicidio brutale che ha spezzato la vita di un innocente, “colpevole” soltanto di essere il figlio di Santino, un ex mafioso pentito.
Messina Denaro fu uno dei mandanti del sequestro del ragazzino che, mentre si trovava nel maneggio di Piana degli Albanesi, fu prelevato da un gruppo di criminali. Travestiti da poliziotti, attirarono la vittima con l’inganno, promettendogli che lo avrebbero condotto da suo padre, che si trovava sotto protezione fuori Regione.