“Aglie, fravaglie, fatture ca nun quaglie”: la Jettatura a Napoli
Ott 27, 2014 - Emanuela Mastrocinque
Come abbiamo ribadito più volte, a Napoli cultura e superstizione si fondono in un unico grande concetto. Napoli con le sue credenze e le sue tradizioni si inserisce di diritto nella lunga schiera delle “città mistiche” dove parole come mistero e magia sembrano essere all’ordine del giorno.
Numerosi sono stati gli intellettuali che hanno indagato il legame che la cultura popolare partenopea ha sempre mantenuto con l’occulto, affascinati e increduli di fronte alla fervida immaginazione e alla profonda devozione del Napoletano nei confronti della spiritualità, del soprannaturale e della trascendenza.
La nostra storia è ricca di credenze tutt’ora in voga, come quella del Malocchio che attribuisce poteri “malefici” alle persone in grado di scatenare guai e sventure. La Jettatura (così chiamata a Napoli), può essere definita una sorta di “energia negativa” gettata mediante lo sguardo potente e fulmineo dello “Jettatore”, nei confronti di cose e persone.
Tale credenza nasce e si rafforza nella Napoli colta e raffinata del settecento, mediante la narrazione di storie e leggende che hanno come protagonista proprio la figura ambigua ed inquietante dello Jettatore, tra quelli più famosi l’eminente archeologo e intellettuale Andrea De Iorio colpevole di aver fatto “morire” in seguito ad una sua visita, nientedimeno che il re Ferdinando IVma.
Esistono tanti metodi per difendersi dal malocchio. Piccoli espedienti, rituali e formule in grado di allontanare la cattiva sorte, tra le più conosciute quella recitata da Peppino de Filippo nelle vesti del personaggio Pappagone: “Aglio, fravaglie, fatture ca nun quaglie, corna, bicorna, cape ‘e alice e cape d’aglio”. Numerose erano le anziane signore che in un passato non troppo lontano consigliavano alle giovani donne di posizionare fuori dalle proprie abitazioni gomitoli di lana arruffata o vecchie scope capovolte per impedire a streghe, spiriti e presenze di entrare in casa. La leggenda vuole infatti che simili espedienti catturassero l’attenzione delle streghe che, intente a sbrogliare le matasse o a contare le setole della scopa, passavano tutta la notte a “lavorare” senza poter entrare nelle case dei malcapitati.
Famosi anche i tanti oggetti ritenuti “magici”, come il ferro di cavallo, il gobbetto, la corona d’aglio e quella di peperoncino, veri e propri talismani portatori di fortuna. Tra tutti quello più conosciuto e accreditato resta ancora oggi il “’ O Curniciello” ritenuto da molti un vero e proprio amuleto contro ogni sfortuna e indiscusso simbolo di Napoli e della napoletanità.
Nonostante il passare degli anni e l’evolversi delle società, la superstizione così come la credenza, continuano ad essere a Napoli tratto distintivo di una società che non si arrende al moderno scetticismo, mantenendo inalterato nei secoli quel particolare legame con l’occulto che rende Napoli ancora oggi, saggia e irresistibile.