A Napoli la morte è una farsa, questo l’inizio di un interessante articolo di Calogero Martorana sul rapporto tra Napoli e Morte. Un rapporto che sembra basarsi su costrutti e convinzioni sostanzialmente diversi da quelli su cui si fondano le società moderne. A Napoli, come in tutto il resto del Sud, il culto dei morti continua ad essere tramandato da generazione in generazione senza paura, con rispetto e forse con un pizzico di ironia.
Nel meridione i morti non muoiono mai davvero, restano tra noi, a scrutarci, a guidarci e, se necessario, perfino ad iutarci. Così come diceva Eduardo De Filippo in una delle sue più celebri commedie: i morti sono sotto i tappeti, sotto le sedie, sotto i mobili, come a dire insomma, che non ci lasciano mai soli. Discorso valido soprattutto nella notte a cavallo tra l’1 e il 2 Novembre, giorno in cui ai defunti (secondo un’antica credenza popolare) è consentito ritornare a fare visita ai propri cari.
Al Sud, quello dei morti, è un giorno che non solo va celebrato ma festeggiato. Una festa sostanzialmente diversa da quella che ci ha insegnato lo stereotipo americano di Halloween, ma che con esso mantiene ugualmente punti di contatto.
In Puglia ad esempio, la sera del 1 Novembre, esiste tutt’oggi l’usanza di imbandire la tavola per cena, completa di pane acqua e vino, per permettere ai morti che faranno visita alla casa di rifocillarsi. Più grande ed invitante sarà il banchetto, maggiore sarà la possibilità che i defunti restino in casa fino a Natale ed in alcuni casi fino al giorno dell’Epifania. Nella cittadina di Orsara la festa viene chiamata “Fuuc acost” e coinvolge tutto il paese che per l’occasione, si anima di fuochi e braci accanto alle quali vengono posizionate pietanze di ogni tipo da destinare ai trapassati.
In Calabria invece, è consuetudine recarsi nei cimiteri in corteo. Una volta giunti in prossimità delle tombe si recitano benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti, dopo il rito, era consuetudine banchettare direttamente sulle tombe dei propri congiunti invitando a mangiare chiunque fosse nei paraggi.
In Sicilia, vigeva la convinzione secondo cui i defunti nella notte del 1 Novembre, erano soliti recarsi dai bambino portando in dono dolci e frutta secca. In terra sicula la commemorazione dei morti rappresentava, e rappresenta tutt’ora (seppur in chiave moderna), una vera e propria festa per i bambini che, attraverso questo primo contatto festoso e innocente, imparavano ad esorcizzare la paura della morte e dell’ignoto. Usanza raccontata anche da Giovanni Verga nella sua novella: “La Festa dei Morti”.
In Campania invece, tradizione impone che ogni buon fidanzato porti in dono alla famiglia della propria sposa il famoso “torrone dei morti“. Si tratta di un torrone molto diverso da quello di Natale, duro e impastato con il miele. Il torrone dei morti in realtà è molto morbido, quasi cremoso, racchiuso in un guscio spesso di cioccolato.
In Basilicata si narra che dopo aver preparato pietanze succulente, le donne accompagnassero tutti gli abitanti della casa nelle proprie stanze, in particolar modo i bambini, molto prima della mezzanotte. Dopo aver messo tutti a riposo, riponevano sui davanzali delle loro finestre cibo, acqua e frutta da destinare ai defunti. Ogni abitante della casa doveva andare a letto molto presto per evitare di incontrare le anime in visita nel mondo dei vivi.
Il 1 Novembre si avvicina e ad ognuno di noi, al di là di ogni tradizione, non resta che riflettere sul significato profondo e nascosto di questa festività apparentemente macabra e grottesca che si estrinseca nella continua e inarrestabile dialettica tra vita e morte.