‘O Mastuggiorgio era un infermiere di manicomio (“‘e Pazzarie”), generalmente di corporatura forte e robusta, che aveva il compito di sorvegliare i pazzi affinché non facessero del male a se stessi ed ad altri. Egli collaborava a stretto contatto con lo psichiatra, intervenendo se necessario e bloccando il malato infilandogli la camicia di forza.
Ma da dove deriva il termine? Le teorie sono diverse. La prima vede l’origine della parola dal termine greco mastigophòros, “portatore di frusta”, cioè colui che usava la frusta per placare gli animi delle persone più agitate. Mentre la seconda, meno dotta ma più accreditata, vede la sua derivazione da Mastro Giorgio Cattaneo, un castigamatti vissuto nel Seicento che credeva di curare le malattie nervose con le percosse e picchiando violentemente i malati con un bastone. I “castigamatti” o “fustigatori” erano gli psichiatri e gli infermieri dell‘ospedale degli Incurabili e il nome lascia capire la violenza fisica con cui erano trattati, ricoverati e curati i malati di mente.
Il termine di “Mastuggiorgio” compare anche in letteratura. Salvatore di Giacomo, nella sua poesia “Si è Rosa ca mme vò”, si ispira al forzuto infermiere: “Nzerrateme, nzerrateme addò stanno, tant’ate, comm’a me, gurdate e nchiuse, addò passano ‘a vita, sbarianno, pazze cuiete e pazze furiuse. Nchiuditeme pè sempe ‘int’a sti mmura, è o mastuggiorgio mettiteme allato.”
E ancora Raffaele Viviani in ” ‘O guappo nnammurato”, dove sminuito e umiliato dagli spietati maltrattamenti da parte della donna di cui è perdutamente innamorato, dice di essersi ridotto allo zimbello del paese, ad una specie di “mastuggiorgio”, ossia un infermiere di manicomio.
La figura del “castigamatti” colpì molto l’immaginazione popolare, infatti nell’idioma, nel costume e nella letteratura partenopei sono rimaste impronte fino ad oggi. In Napoletano si usa ancor oggi dare il nome di Mastogiorgio a coloro che si occupano della cura e della custodia dei pazzi, e “l’aspetta Mastogiorgio“ si dice delle persone che dimostrano chiari segni di follia.
Oggi il termine viene usato a Napoli anche come appellativo, ma ha una doppia valenza: può definire un uomo intraprendente e determinato, capace di prendere le redini di una situazione difficile, ma che può essere anche violento e pronto ad ottenere ciò che vuole ad ogni costo.