Nel 1999 le Nazioni Unite istituirono quella che oggi sta mobilitando milioni di persone: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. I dati dell’ultimo rapporto Eures parlano chiaro: i femminicidi si stanno raddoppiando nel centro Italia, al Sud in aumento del 27% mentre il Nord della penisola detiene il record negativo.
C’è chi espone le scarpe rosse, simbolo mediatico di questa battaglia. Noi vogliamo, invece, raccontarvi la storia di una giovane donna, non ancora trentenne che da adolescente ha subito delle molestie e lo faremo senza sottooporle domande, ma ascoltando insieme a voi il suo racconto.
Negli ultimi giorni ho potuto notare il fenomeno che sta spopolando, ovvero contare quanti apprezzamenti una donna riceve passeggiando per strada. Ho letto molti commenti di donne e uomini che indistintamente, molto spesso si ostinano a definire eccessivo il termine ‘molestia’. Giudicare da fuori è facile, sdrammatizzare, minimizzare, sottovalutare quanto un fischio o un complimento detto in toni più profondi possa ferire e spaventare, ma chi subisce non sempre la pensa allo stesso modo.
Per questo motivo ho deciso di raccontare la mia storia, una delle tante, una storia probabilmente simile a quella che spesso capita ad altre donne, quelle che vengono additate come ‘donne esagerate’ o troppo ‘puritane’, quelle che confondono un’avance con una molestia.
Avevo appena 15 anni quando mi ritrovai a fare i conti con questi svariati complimenti ed inizialmente anche io mi autopunivo, mi dicevo che ero esagerata, che lavoravo troppo con la fantasia, addirittura mi dicevo “credi di essere così bella?”, e pure quegli apprezzamenti iniziavano ad arrivare puntuali ogni giorno nel mio tragitto scuola – casa, casa – scuola e non solo.
Nel pieno della mia adolescenza stava succedendo qualcosa che non rientrava esattamente in quella che è la vita serena di una qualsiasi quindicenne, ogni mattina ero destinata ad arrivare a scuola disperata ed in lacrime perchè un uomo troppo ossessivo mi aveva presa di mira. Un incubo, una situazione che non solo mi terrorizzava ma mi faceva vergognare e sentire in colpa, come se tutto quello che stava accadendo dipendesse da me.
Il mio ‘segreto’, se così si può definire, fu al sicuro per un po’, mi limitavo a sfogarmi a scuola con gli amici ma anche i professori iniziarono a sospettare che qualcosa non andasse, tanto da avvicinarmi, facendomi domande di diverso tipo per capire cosa mi stesse succedendo.
Fu il destino a fare il suo corso, quando una mattina oltre ai soliti complimenti, sguardi dolci e baci volanti, fui letteralmente bloccata e spinta con le spalle al muro, non potevo fare nulla, non potevo chiamare i miei amici come le altre volte e nonostante mi dimenassi per fuggire via, nessun passante si accorse del mio disagio.
Per un colpo di fortuna scappai via, arrivai a scuola e mi sembrò di vedere la luce della salvezza, come ogni volta parlai ai miei amici, ma decisi anche di parlare con i professori che vedendomi in uno stato pietoso a causa della paura, decisero di far intervenire i miei genitori. Era una tipica giornata primaverile quando decisi di rivolgermi alla polizia, arrivai in commissariato che ancora tremavo ma non sapevo che dentro in realtà stava per esplodere il coraggio di un leone. Si, il coraggio, perchè per certe cose ci vuole principalmente coraggio. Serve per allontanare i giudizi di chi non capisce, la paura di pagarne le conseguenze e soprattutto, serve per continuare a vivere la propria vita come se nulla fosse accaduto. Probabilmente è difficile anche solo immaginare cosa significhi per una ragazzina di 15 anni essere sotto controllo della polizia, non esistevano passeggiate, cambi di programma ed uscite col fidanzato (che non doveva essere a conoscenza di quanto stesse accadendo), che non fossero controllate da loro. Era tutto difficile ma non ero più sola, stavo combattendo una guerra ma avevo le giuste armi per combattere. Quell’uomo fu individuato e fermato, riconosciuto come un abituè delle molestie ma mai denunciato dalle precedenti vittime, semplicemente per paura o vergogna.
Sono trascorsi 10 anni da quei momenti, ma io oggi quando passeggio per strada non sono ancora serena, e anche se tutti continuano a dire che le molestie sono ben altre, io posso assicurare che essere inseguita e veder sbucare ovunque una persona che prova ad invadere i miei spazi, mi inquieta e non poco, e non si può certo dire che io vada in giro su tacchi a spillo e magliette scollate. A distanza di 10 anni ho più coraggio ma certi ricordi gelano ancora il sangue e vedere come nel 2014 gli uomini ancora strumentalizzano la donna con prepotenza, volgarità e poco rispetto, non mi fa certo sperare in un mondo migliore. Viviamo in un’epoca dove ancora si combatte contro la violenza sulle donne, come se questa fosse una battaglia da vincere e non un diritto che ci spetta, abbiamo ottenuto tempo fa la parità dei sessi, ma con certi atteggiamenti veniamo marchiate a fuoco ancora da modi di fare che ci strumentalizzano disprezzando il nostro valore.
Avevo 15 ma non dimenticherò mai più, ricorderò per sempre tutto quello che mi è successo ma una cosa è certa, consiglierei a chiunque di non aver paura di ribellarsi e di denunciare e soprattutto ricordare che nessuna vittima ha colpe, se non quella di non riprendere in mano la propria vita e fermare certi abusi. Se quindici anni fa lo stalking fosse già stato considerato reato, la mia battaglia l’avrei vinta prima ma per fortuna la legge è andata avanti, e molte ragazze potranno uscire prima dal tunnel dell’ossessione. Sarebbe bello se tra dieci anni certe storie non esistessero e ci ritrovassimo a raccontare di episodi che esaltano il rispetto reciproco tra uomo e donna, il rispetto che dona serenità ad una società lontana da violenze e abusi. Solo un sogno? Spero di no…!