Nel XVIII secolo si riaccese in tutta Europa l’interesse per la riscoperta della cultura e dell’arte classica, greco-romana. L’Italia divenne, ovviamente, la meta più ambita per qualunque letterato o studioso che volesse immergersi nella contemplazione e nello studio dei resti di quelle antiche culture. Il viaggio attraverso la nostra penisola divenne un passo obbligatorio per definirsi “uomo di cultura”.
Johann Wolfgang von Goethe, il più importante scrittore e drammaturgo tedesco del tempo, compì questo rito di passaggio alla soglia dei suoi 38 anni, nel 1786, e annotò tutte le esperienze e le sensazioni, provate nei due anni di permanenza, nel suo “Viaggio in Italia“.
Il percorso, da Nord a Sud della penisola, lo portò a risiedere per molto tempo nelle città più importanti: a Roma, dove sostò mesi, possiamo ancora trovare l’abitazione in cui viveva nei pressi di via Condotti.
Eppure, i pochi mesi che trascorse fra le bellezze e i piaceri di Napoli, portarono il letterato a scrivere che rispetto a Napoli “la capitale del mondo nella bassura del Tevere appare come un vecchio convento in posizione sfavorevole.” Oppure, in un altro passaggio:“Se a Roma si studia volentieri, qui si desidera soltanto vivere. Ci si scorda di noi e del mondo.”
Goethe arrivò a Napoli nel Febbraio del 1787 e soggiornò presso Palazzo Filangieri d’Arianello, dove oggi si può ammirare una targa in suo onore, e Palazzo Sessa, che dal 2012 ospita il Goethe Istitut. Fu qui che provò le sensazioni più forti di tutto il viaggio: qui conobbe lo sfarzo artistico ed economico di una città ricca e florida, qui imparò l’importanza di una vita “senz’affanni” e senza troppe preoccupazioni, comprese l’importanza delle tradizioni e delle festività di un popolo sempre pronto a festeggiare e a riempire le strade di musica e processioni.
Fu, però, la scalata del Vesuvio a scuotere maggiormente l’animo dello scrittore. Il vulcano, con le colonne di fumo, il suo suolo nero e rovente, con la incessante puzza di zolfo, apparve, all’autore del “Faust”, come la trasposizione terrestre dell’Inferno. Questa esperienza generò in lui la consapevolezza che i napoletani fossero unici, proprio per essere nati nel punto preciso in cui la bellezza assoluta e il terrore si incontrano e convivono:“La terribilità contrapposta al bello, il bello alla terribilità: l’uno e l’altra si annullano a vicenda, e ne risulta un sentimento d’indifferenza. I napoletani sarebbero senza dubbio diversi se non si sentissero costretti fra Dio e Satana.“