De Magistris al New York times: “Questa la chiave per legare i due paesi”
Giu 09, 2015 - Domenico Ascione
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris è arrivato a New York, per il suo primo viaggio istituzionale nella Grande Mela, e l’intera popolazione di Little italy, quartiere storico a Sud di Manhattan, si è riversata per le strade osannando il l’“Italian Mayor” (il sindaco italiano).
Il legame fra gli abitanti di questa zona, quasi tutti di origini italiane e Napoli è radicato nei secoli: per loro, la nostra città, è il simbolo delle tradizioni perdute, della vita semplice lasciata dai loro bisnonni, di odori e sapori che, sconfinando le epoche, fanno ancora pulsare il sangue. Lo stesso De Blasio, sindaco di New York di origini campane, ha dichiarato il suo amore per la pizza, difendendola anche nel corso della polemica contro Mc Donald’s.
Non c’è, dunque, da stupirsi di quello che la giornalista del New York Times, Sarah Maslin Nir, ha descritto, quasi incredula. Una calca di gente, simile a una processione, accompagnava il tragitto del sindaco di Napoli: chi gridava “viva l’Italia”, chi faceva assaggiare al napoletano la “mozzarella” locale, e persino qualche russo si è finto un perfetto emigrante napoletano per dedicare una tarantella al’autorità straniera. E, così, gli occhi della giornalista hanno osservato quell’uomo italiano che, come un Papa, salutava, assaggiava e ammiccava ad un popolo perduto.
Eppure è proprio per creare un nuovo legame con quegli abitanti “divisi fra due tradizioni” che De Magistris è arrivato nella metropoli statunitense. Il tour è stato, infatti, organizzato da Monsignor Donald Sakano, parroco della Basilica della Cattedrale di San Patrizio Vecchio a Mulberry Street, per promuovere un rapporto fra l’enclave italiana di New York e la città di Napoli. Il primo evento per favorire questo gemellaggio è la mostra dei pastori di San Gregorio Armeno proprio nella Cattedrale di Sakano. Una tradizione, quella dei pastori, che forse nessuno degli italo-americani conosce veramente dal momento che lo stesso termine “presepe” non è tradotto e non ha corrispettivi nella lingua americana.