Ed ecco a voi il pane del 79 d.C., carbonizzato dall‘eruzione di quell’ormai lontano e terribile 24 agosto, completamente nero ma ancora in vita. Ha ripreso forma grazie ad Antonio Stampone, che pezzo per pezzo, briciola per briciola sta man mano rimettendo a posto tutte le pagnotte ritrovate agli scavi di Pompei.
E proprio questa era la forma del pane in quell’epoca. Chiamato panis quadratus, le pagnotte erano tonde e segnate a spicchio in modo da poterle spezzare facilmente e proprio come oggi era considerato l’alimento principale della dieta. A Pompei c’erano infatti circa trenta pistrina, panifici pubblici disposti lungo Via dell’Abbondanza che producevano diverse qualità di pane: prima qualità, seconda qualità, pane di farro, quello poco raffinato, il pane per i marinai ed in fine quello per i poveracci.
La qualità del pane a Pompei doveva essere veramente ottima, esso veniva rappresentato nei graffiti, in uno dei quali si legge “Viator Pompeis panem gustas, Nuceriae bibes”, ovvero “Viaggiatore, mangia il pane di Pompei ma bevi vino di Nocera”.
Molte pagnotte sono state ridotte in polvere dalla devastante eruzione e ritrovati nei forni nella quale venivano cotti. Si tratta di una delle più importanti raccolte di testimonianze bio-vegetali. I pani, una volta terminati i restauri, verranno esposti al pubblico.