Diceva il grande giornalista Tiziano Terzani: «La verità non esiste, è un’approssimazione, ma un’approssimazione in ogni senso! Anche il cercarla è la verità». Umilmente, portando dentro di me questo grande insegnamento, ho pensato che all’indomani delle stragi del 13 novembre a Parigi, il modo migliore per avere quanti più elementi possibile per valutare questo momento storico terribile, controverso, segnato da veri e propri massacri che stanno avvenendo in tutte le parti del mondo e che da relativamente pochi anni hanno iniziato a verificarsi anche qui in Europa, in una escalation sempre crescente, fosse quello di porre alcune domande a giovani uomini e donne che vivono per vari motivi nella capitale francese. Sono miei coetanei, con loro condivido solo il tempo trascorso su questa terra, la cultura occidentale e il luogo di origine: la Campania, Napoli. Quindi tutto.
Si sono trasferiti a Parigi, chi da pochi anni e chi solo da pochissimi giorni, per motivi universali: studio e lavoro. Quel venerdì sera molti di loro erano scesi per un bicchiere di vino con gli amici, o tornavano a casa dal lavoro: i soliti gesti quotidiani di una vita che ci accomuna tutti, ed è proprio questo a spaventarci. Non è un meccanismo di causa ed effetto, non ci sentiamo una colpa e non ci aspettiamo una reazione. Sopratutto una così barbara e violenta. Ho chiesto loro se si sentono al sicuro.
Arianna mi ha risposto: « I primi due giorni avevo paura anche ad affacciarmi dalla finestra, ho provato forse per la prima volta un reale senso di terrore. Lunedì invece sono tornata a lavoro e devo dire che adesso mi sento abbastanza al sicuro, non perchè credo che effettivamente si possano scongiurare altri episodi simili, ma perchè ho deciso di affidarmi al destino. Se deve succedermi qualcosa mi accadrà a prescindere». Marilu invece dice: «Stamattina mi sono svegliata, ho acceso la tv (cosa che solitamente non faccio) e ho appreso di nuovi arresti. No, non mi sento al sicuro». Diego: «Io sono qui da poco, ma avverto la loro paura».
Prima parlavamo della quotidianità, spesso anche odiata, quando si trasforma in routine. La ripetizione dei gesti di tutti i giorni regola il nostro tempo ordinario, ordina i nostri passi nella giornata. Cambiare questi schemi in funzione di un pericolo così subdolo è un normalissimo meccanismo di difesa, ma mantenerli intatti, può trasformarsi in un gesto pacifico di rivalsa. Arianna: «Fondamentalmente ho notato che tutto è ripreso regolarmente e che le persone intendono riprendere la loro vita. Lavorando alla Philarmonie di Parigi, la prima sala da concerti riaperta dopo i fatti, ho constatato che l’affluenza è sempre la stessa, cioè quasi sempre tutto esaurito. Anch’io personalmente continuo a fare le stesse cose, certo ora cerco di evitare di tornare a casa la sera tardi, magari per un po’ uscirò solo fino al tardo pomeriggio, ma mi limiterò solo a questo».
Laura: «Le mie abitudini non sono cambiate ma si fa più attenzione e si sta un po’ più sull’attenti». Marilu: « Evito la metro quindi ho modificato il mio percorso per andare all’università. Prendo il bus, dicono sia meno pericoloso… Se posso vado a piedi. Evito anche posti affollati e turistici. Le persone che mi stanno attorno sono spaventate, in ansia». Alessia: «Lavorando a Disneyland Paris, ero lontana da dove sono successi i fatti, però i giorni successivi, a lavoro, sono stati intensi e ho cercato di concentrarmi su altro e rassicurare i clienti. Sicuramente per qualche tempo non andrò a Parigi, ma non mi va di privarmi della quotidianitá». La domanda che mi premeva più fare e quella di cui temevo di più la risposta è : “La Francia è in guerra?“.
La risposta è quasi unanime: ritengono di vivere in un paese in guerra. Arianna: « Non so se la Francia sia effettivamente in guerra, sicuramente quello che vedo ora è la realtà di una città sotto assedio. Militari e polizia ovunque, sirene e allarmi di continuo, metro e stazioni continuamente chiuse e poi riaperte, controlli a tappeto per entrare in ogni sito pubblico. Anche se una persona si sforza a voler continuare la sua vita di sempre, queste cose ti ricordano senza sosta che sei in uno stato costante di pericolo, forse sono queste misure di sicurezza che psicologicamente sono più pesanti da sostenere ».
“La France résiste” disent les journaux. “La France a peur” disent les faits. “La Francia resiste”, dicono i giornali. “La Francia ha paura”, dicono i fatti.