Cronaca

Mario Cerciello, il collega testimonia: “Ci siamo qualificati, ci hanno subito aggrediti”

Andrea Varriale, il collega che era accanto a Mario Cerciello la notte dell’omicidio, ha fornito la propria ricostruzione della vicenda davanti ai giudici della Prima corte d’Assise. Secondo quanto raccontato da Varriale, lui e il collega si erano qualificati poco prima che avvenisse la colluttazione.

Dopo esserci qualificati ho riposto in tasca il tesserino. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre”, ha ricostruito Varriale. “Loro non avevano nulla in mano. Noi andavamo a identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti.

Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava ‘fermati carabinieri’, aveva una tono di voce provato. Tutto è durato pochi secondi: io lascio andare il mio aggressore perché ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e vedo lui in piedi che mi dice ‘mi hanno accoltellato’ per poi crollare per terra.

Da lì, Andrea Varriale aveva tentato disperatamente di soccorrere Mario Cerciello, ma invano. “Mi sono quindi tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti. Ho chiamato subito la centrale per chiedere una ambulanza”.

Il collega del carabiniere ucciso il 26 luglio scorso spiega anche il motivo per cui né lui né Cerciello erano armati, “Dovevamo avere la pistola ma per praticità e perché dobbiamo mimetizzarci l’arma è più un problema, non mi è mai capitato di doverla usare nel servizio nella zona della movida. La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo, dei jeans e le scarpe da ginnastica.

Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de Fiori e piazza Trilussa, il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché i controlli sull’attività di spaccio non si può fare in auto”.

Il pubblico ministero ha fatto anche ascoltare l’audio della telefonata registrata immediatamente dopo l’aggressione: una registrazione che ha toccato nel profondo il suocero di Rega, padre della giovane Rosa Maria Esilio, che è svenuto in aula.