Marcello D’Orta era stato fino al 1990 un maestro elementare. Nello stesso anno divenne famoso grazie ad un suo libro, diventato successivamente un bestseller e addirittura un film, “Io speriamo che me la cavo” in cui D’Orta aveva raccolto dei temi scritti da bambini in una scuola elementare di Arzano. Marcello D’Orta era malato di tumore dal 2010 e da sempre aveva pensato che la colpa del suo male fosse dovuta solo alla camorra e ai suoi rifiuti. I funerali saranno celebrati il 20 novembre 2013 alle ore 12,00 nella Basilica di San Francesco di Paola, in piazza Plebiscito. A tal proposito il sito Napolitoday.it scrive:
Era il 2010 quando Marcello D’Orta, lo scrittore di “Io speriamo me la cavo” morto oggi a 60 anni, affidava una sua testimonianza a Quotidiano.net. “Quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore, il primo pensiero fu: la monnezza. E’ colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi – vizi, consumo pasti da certosino? Mi ricordai, in quei drammatici momenti che seguirono la lettura del referto medico, di recenti dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui era da mettersi in relazione l’aumento vertiginoso delle patologie di cancro con l’emergenza rifiuti. Così sono stato servito: radiochemioterapie, due interventi chirurgici, altro, tant’altro. A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra. I rifiuti si accumulano perché la camorra impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli”.
E ancora: “Negli anni 90, il boss “pentito” Nunzio Perrella dichiarò: “Per noi la munnezza è oro”. Un affare superiore perfino a quello della cocaina. Dal 2004 al 2007 qualcosa come un milione di tonnellate di rifiuti è finita a Santa Maria Capua Vetere: arrivavano da Brescia, Milano, Pavia, Pisa. Il resto da paesi dell’Est Europa. La politica ha dato man forte alla malavita, ma questa è storia antica, risalente ai tempi dei Borbone, che nei giorni precedenti l’entrata in città dei garibaldini, liberarono esponenti di spicco dell’Onorata Società, dando loro potere quasi assoluto sulla popolazione. In un paradosso o tragico equivoco che dir si voglia, i rivoltosi che affrontano la polizia si fanno spalleggiare da esponenti della camorra. Si lanciano pietre sui militari come fossero loro il Nemico, e invece il Nemico i rivoltosi ce l’hanno al fianco. Come fai a non capirlo, dissennata e povera Napoli?”