Un tatuaggio per “entrare” nel clan: così i Birra di Ercolano arruolavano i soldati della camorra


Una sorta di battesimo d’onore, un simbolo che univa “l’esercito della camorra” del clan Birra-Iacomino di Ercolano. Un marchio tatuato sotto al braccio, precisamente un occhio, che però veniva principalmente scolpito nell’anima. Così venivano riconosciuti e affiliati “i soldati della camorra”. A tal proposito il sito Metropolisweb.it scrive:

Un occhio per guardare lontano. Per proteggere gli “amici”. Per marchiare con ago e inchiostro un legame indissolubile, scolpito nella mente prima che sulla pelle. Un’immagine semplice, quasi un richiamo alla simbologia religiosa, che in sé però nasconde le ombre cifrate di una liturgia diversa: dove i santi diventano padrini e le preghiere hanno la voce di un colpo di pistola. Un “ricamo” piazzato proprio lì, sotto al braccio: dove il muscolo si tende per dimostrare elasticità, forza, potere. E’ il tatuaggio simbolo della camorra di Ercolano, l’incredibile rito di iniziazione con il quale il clan Birra-Iacomino “battezzava” i nuovi affiliati: i soldati di una cosca in guerra, unita dagli interessi, si ma anche dall’onore, da quelle immagini scure che marchiavano il corpo dell’esercito della camorra.

Un retroscena incredibile, che unisce- almeno in quanto a usi e costumi- il clan della Cuparella agli scissionisti di Secondigliano, arricchendo l’infinita storia della simbologia criminale ai piedi del Vesuvio. Un marchio scolpito anche sul braccio muscoloso e teso di Pasquale Borraggine, l’esattore pentito che dopo aver mostrato ai magistrati- nei suoi pizzini- i numeri della holding criminale messa in piedi dai padrini di Corso Resina, ha aperto gli occhi della Dda anche su quel simbolo: su un tatuaggio che ha rischiato di costargli la vita.

E’ proprio il pentito a raccontare le mille, oscure trame celate dietro quell’occhio nero, in una delle deposizioni rilasciate nel corso di questi anni davanti agli occhi- stavolta feriti- del “gotha” della camorra ercolanese. Lo ha fatto raccontando il suo ingresso nel clan: quello screzio con il giovane affiliato degli Ascione-Papale, Vincenzo De Crescenzo, la molla che lo spinse ai piedi della cupola capitanata da Giovanni Birra. “Già conoscevo Vincenzo De Crescenzo– racconta Borragginequando mi sono trasferito a via Croce dei Monti e li sopra se la faceva lui. All’inizio non avevamo nessun problema, anzi andammo a fare pure una pasquetta insieme. Poi, però, mi sono distaccato e ho iniziato a frequentare dei ragazzi del Corso di Ercolano, figli di persone del clan Birra. E a De Crescenzo questa cosa non andava bene”.

Un astio improvviso, diventato odio, proprio per quel tatuaggio: per il battesimo d’onore di Borragine con i “ragazzi del Corso”. “A lui non stava bene che io me la facevo con i ragazzi del Corso- racconta il pentito parlando di De Crescenzo- e in più perché io feci anche un tatuaggio come segno di amicizia con i ragazzi di sopra al corso Ercolano”. Non un semplice atto d’affetto per “gli amici”, ma un vero e proprio simbolo di affiliazione: come chiarisce, incalzato dalle domande dei magistrati, l’esattore pentito.

“Si tratta di un occhio sotto al braccio– ripete Borragginesotto al muscolo. Questo nel linguaggio nostro significava amicizia verso questi di Resina”. Un primo passaggio verso l’affiliazione, uno step fondamentale prima della “chiamata” da parte del boss: della convocazione del padrino, giunta pochi mesi dopo. “Mi sono affiliato a casa di Marco Cefariello– ripete il pentito- prima ero stato convocato da Michele Birra. Volevo fargliela pagare a quelli là”.

Una vendetta nei confronti proprio di De Crescenzo, che dopo una lite nella pizzeria dove Borraggine lavorava organizzò un raid punitivo, massacrando- assieme ad un commando armato di mazze da baseball- lo stesso esattore pentito. Da qui la scelta di passare definitivamente dall’altra parte, di farsi marchiare con il simbolo della camorra di Ercolano: per sottoporsi al “battesimo” d’onore dei padrini ed entrare a far parte- da soldato- nella cupola criminale che per anni ha macchiato di sangue e inchiostro strade e vicoli di Ercolano.

Di Ciro Formisano da Metropolis del 15-12-2013


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