Ennesimo atto di violenza nel vesuviano, violenza che continua a sporcare una terra bellissima e ricca come la nostra! Come scrive il sito PositanoNews.it sono stati ben dodici i colpi di mitra esplosi contro un taxi collettivo. Nessun morto. Nessun ferito. Per fortuna. O forse per calcolo: il raid era stato progettato per dare un pesante avvertimento, ma non voleva far scorrere sangue. In caso contrario sarebbe stata una strage. E, del resto, se chi ha agito avesse voluto “fare morti” non ci sarebbero stati problemi “operativi” a raggiungere lo scopo: un furgoncino bloccato nel traffico, all’ora di punta, pieno di persone, è un bersaglio facile.
E né il guidatore né gli altri occupanti avrebbero avuto scampo, impossibilitati a fuggire da quella trappola di lamiere. Sarebbe stato un vero e proprio “tiro al piccione”. Invece no. Chi ha agito ha scelto di farlo in un momento in cui il furgoncino era vuoto e parcheggiato a poca distanza dall’abitazione del proprietario, in via Torretta Di Siena. Il raid a metà della scorsa settimana. Nella zona, ovviamente, tutti sapevano. Ma l’episodio è stato tenuto “coperto” ai più per dare modo agli investigatori di svolgere il proprio lavoro velocemente e senza troppo clamore, nella speranza di poter mettere le mani – e le manette – a mandanti ed esecutori del raid. Nel mirino il taxi di F. D. C., ventisette anni. Secondo le ricostruzioni ad agire sarebbero state probabilmente due persone, arrivate in sella ad una moto. Il passeggero era armato di un fucile automatico d’assalto di fabbricazione asiatica. Probabilmente un “clone” del famoso Kalashnikov di produzione ex sovietica.
Una delle tante copie realizzate più recentemente, dopo la dissoluzione dell’Urss, nei paesi dell’ex blocco “rosso” o nei paesi filocomunisti del profondo est asiatico. Una cosa è certa: il calibro. L’inconfondibile 7,62 dei “kalash”. E anche la sua “voce” deve essere stata inconfondibile quando è stato aperto il fuoco. Una, due raffiche piuttosto brevi. Il tempo di scaricare una dozzina di colpi contro il taxi collettivo. Poi via, di corsa, sparendo nel nulla. Il messaggio era stato recapitato. E – secondo gli investigatori della polizia che oggi seguono il caso – il destinatario, probabilmente, potrebbe sapere benissimo a cosa è stato dovuto quel raid. D. C., oggi tassista, è il figlio di G. D.C. che fu ucciso nel 2007 in via Cavour, nel corso di un agguato di camorra. Fu affiancato da due sicari in motocicletta e freddato nella sua Lancia Y di fronte all’ingresso pedonale della scuola materna ed elementare “Leopardi”.
Secondo le indagini il delitto era da ricollegarsi alla guerra di camorra in atto fra Gionta e Gallo per il controllo del mercato della droga. L’uomo, all’epoca quarantatreenne, secondo gli inquirenti, agiva da corriere per il trasporto di “carichi delicati”, probabilmente pagato di volta in volta dal miglior offerente. Uno sgarro, o una sua infelice scelta di campo alla base dell’omicidio. Oggi, sei anni dopo, è l’auto di suo figlio a trovarsi sotto una pioggia di piombo. Ma perché? Diverse le ipotesi al vaglio degli inquirenti. La principale è quella di un avvertimento per qualche “problema personale” del tassista. Forse una somma importante da restituire a qualcuno. Altra possibile pista quella del regolamento di conti all’interno delle fazioni malavitose in lotta a Torre.
Cosa c’entrerebbe D. C.? Possibile che anche in questo caso qualcuno stia facendogli capire che deve scegliere da che parte stare e che magari deve piegarsi alle richieste di qualcuno in particolare? Tutte ipotesi, per adesso, e tutte in attesa di elementi certi e di riscontro. Come quella che vorrebbe il raid contro il suo taxi come un messaggio intimidatorio verso qualche componente dell’amministrazione comunale. D. C., infatti, secondo quanto risulta agli investigatori, è imparentato con un elemento dell’attuale Consiglio. Ma con questa ipotesi, in mancanza di elementi concreti, ci si addentra – per ora – davvero nel campo delle “piste esplorative” più estreme, che non vengono immediatamente scartate solo ed esclusivamente per scrupolo. Ma non ci sono elementi, allo stato, che facciano propendere per dar peso a questa terzo scenario.
Nel frattempo, mentre gli investigatori lavorano sul raid di via Torretta di Siena, c’è da fare i conti anche con uno scenario che diventa sempre più “caldo”, con altri episodi inquietanti verificatisi negli ultimi giorni in città, ed altri misteriosi raid con colpi di arma da fuoco esplosi sia nella zona della Cuparella che in via Vittorio Veneto. Il timore, in questo caso, è che la breve, illusoria “tregua” fra i clan sia finita. E che si profili all’orizzonte un’estate arroventata dal piombo