Si chiama Roberto Battaglia ed era un imprenditore del settore caseario del casertano, almeno prima che cominciasse il suo calvario con la giustizia e con la camorra. Il coraggio di fare nomi e cognomi chi di gli estorceva illegalmente del denaro – membri del clan Zagaria -, infatti, ora rischia di pagarlo a carissimo prezzo, quello che i compratori dei suoi beni, tra cui la sua stessa azienda, gli faranno all’asta in programma oggi, 22 settembre.
“Dopo aver denunciato alcuni esponenti del clan di camorra Zagaria sono sotto scorta da quattro anni, ma comincio a pensare che quella denuncia non sia stata la scelta più giusta“. Comincia così il racconto che Roberto Battaglia fa – sulle pagine dell’edizione online de LaRepubblica.it – della sua tragica vicenda da uomo ferito prima dalla criminalità organizzata e poi dalle istituzioni, quali la prefettura di Caserta e il commissariato antiracket, che non sono riusciti a completare per tempo gli iter burocratici per ottenere il risarcimento dei danni causatigli dalla camorra.
Battaglia l’ha incontrata sulla sua strada sul finire degli anni ’90, quando si rivolse a degli usurai per far fronte ai debiti contratti dall’azienda di viaggi del padre, ceduta a lui una volta defunto. “Quando, però, hanno arrestato Michele il capo del clan, il 7 dicembre del 2011, ho avuto il coraggio di dire tutto e sono finiti in carcere per estorsione i fratelli Zagaria, Pasquale, Carmine e Antonio, e anche Filippo Capaldo, il nipote di Michele Zagaria che oggi è considerato il reggente del clan”. Per questo motivo l’imprenditore nel 2012 finisce sotto scorta per ordine dei magistrati della Dda di Napoli.
Al processo, però, vengono assolti tutti e – beffa ulteriore – si bloccano anche i procedimenti burocratici per il risarcimento dei danni, poiché gli inquirenti vengono a sapere che Battaglia era stato al matrimonio di Carmine e Pasquale Zagaria: “Ma in realtà sono stato io – si difende Battaglia – a dire ai magistrati questa notizia quando feci la denuncia. Quando un boss ti invita non puoi rifiutare, però ci andai senza la mia famiglia“.
“Non pretendo privilegi – afferma Battaglia -. Dico solo che se lo Stato si ferma nel darmi quello che la legge dice che mi spetta, allora fermi anche i creditori, altrimenti dovrò andare a chiedere l’elemosina. Al Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere c’è una situazione davvero paradossale. La giustizia civile è allo sbando. Il curatore fallimentare ha recuperato 450 mila euro per il fallimento che c’è stato il 23 dicembre 2002, ma quei soldi le banche non li hanno mai ricevuti. Li trattiene ancora il curatore fallimentare senza averne titolo. E così le banche attaccano me e mia sorella perché siamo garanti dell’agenzia Battaglia. Il 22 settembre 2016, la mia casa, quella di mia sorella e l’azienda bufalina finiranno all’asta.