In questi giorni è nata una campagna mediatica “promozionale” che sta facendo molto discutere, che vuole mostrare di essere in prima linea nel soccorso alla regione Campania in difficoltà e colmare quei tanti vuoti creati negli anni per il personale sanitario della Campania già vittima di tagli e commissariamenti decennali. In questi giorni infatti se accendiamo la tv negli stacchi pubblicitari, noteremo la richiesta prioritaria della Protezione Civile nazionale di “450 medici per la Campania, anche pensionati, giusto per il tempo necessario E con stipendio giornaliero vitto e alloggio” (un bando di fatto durato 4 giorni), per poi tornare al punto di partenza.
Ricordiamo che, come spesso ha denunciato il presidente De Luca, la regione Campania ha ricevuto negli anni meno fondi pro-capite rispetto ai cittadini del Centro-Nord. Oltre a questo dramma si aggiunge anche la carenza di personale sanitario con 15.800 addetti in meno rispetto alla regione Veneto, pur avendo la nostra regione 1 milione di abitanti in più.
Lo stesso vale per l’Emilia Romagna che ha 14.750 addetti in più pur avendo 1,5 milioni di abitanti in meno, e così anche per la regione Lombardia che conta 100 mila unità sanitarie con poco meno del doppio degli abitanti della Campania.
Insomma mentre si cercano disperatamente 450 medici “temporanei” per la Campania, abbiamo questo gap storico che forse neanche la pandemia riuscirà a colmare e che, in previsione del post-pandemia e del futuro “sciacallaggio” nordista per accaparrarsi i fondi europei che dovrebbero arrivare nel 2021, ci dà una certezza: “il Covid non ridurrà la differenza tra Nord e Sud ma forse – si legge in queste ore sui social – potrebbe decretare la fine di una “fratellanza” che non c’è mai stata”.
Campania, l’emergenza medici continua: 160 domande per 450 posti
D’altronde i fatti e dati continuano a raccontarci queste cose: attualmente anche nello stato di Pandemia che stiamo vivendo, la ministra De Micheli ha firmato il decreto Olimpiadi Milano-Cortina stanziando un miliardo di euro per la realizzazione di infrastrutture e servizi che certamente non sono la priorità per le olimpiadi 2026 e che aiuteranno la ripresa solo di quelle zone del Paese.
Risulta difficile credere alle parole del Presidente della Repubblica Mattarella che come al solito invoca l’unità nazionale, salvo poi sentire in questi giorni le parole del presidente lombardo di Confindustria che consiglia di tornare alle “gabbie salariali” di qualche anno fa.
In questi ultimi anni molti sono tornati a parlarne chiaramente politici, governatori ed economisti del Nord, ma è chiaro anche che di fatto considerando i servizi e le infrastrutture, gli stipendi dei meridionali sono già più bassi (dato anche il costo della vita) e per le tasche del nord sarebbe anche un male considerando che i migliori clienti del Nord sono proprio i meridionali; inoltre molte famiglie del Sud vivono già di un solo stipendio, ma è chiaro sempre che l’interesse anche dopo 9 mesi di pandemia è quello di tutelare all’interno del Paese sempre il Nord (anche con questo governo), volendo chiaramente escludere gli interessi stranieri che in questo periodo pare risultino più importanti di quelli italiani.
Il presidente De Luca lo ha dichiarato spesso: “C’è ancora un razzismo antimeridionale viscerale tra media ed istituzioni, e pur partendo da un dislivello assurdo tutte le tv fanno a gara a sminuire ed accusare Napoli, la Campania (che è comunque la regione che ha meno morti di tutta Italia da marzo) e tutto il Sud”.
Si torna per certi versi ad esaltare la Lombardia che conta comunque 20 mila morti e che solo il 18 novembre ne ha visti 182 (ed è da sempre la regione con maggiori contagi), ma proprio in queste ore il governatore lombardo Fontana chiede di allentare le restrizioni perché la curva, sempre drammatica, sta rallentando.
Tornando ai divari nelle spese sanitarie, secondo l’ultimo rapporto 2020 della Corte dei Conti, Coordinamento della Finanza Pubblica, notiamo quanto i tagli della sanità in Italia sono, come al solito, andati a colpire quella parte di Paese già in difficoltà: dal 2012 al 2017, dei 47 miliardi totali spesi nella sanità, oltre 27 sono stati spesi nelle regioni del Nord e 10 nel Mezzogiorno (quasi tutte commissariate).
Al Nord 14 miliardi solo per gli stipendi degli operatori sanitari nel 2018, al Sud soltanto 6. Altro che taglio degli stipendi quando manca proprio il personale bisognerebbe avere coraggio per parlare di stipendi divisi: al Sud 1 operatore sanitario svolge il lavoro di 3 persone.
In Valle d’Aosta o in Emilia hanno investito 85 euro pro-capite nei loro ospedali e nel Sud 22 euro in media.
Sarà anche questa la causa dell’emigrazione sanitaria del Sud? Il solito classico motivo di essere figli di due “patrie” diverse? Dal Mezzogiorno ogni anno “emigrano” 900 milioni di euro entrando nelle tasche del Nord, e questi dati ci riportano a quella celebre frase della giornalista Gabanelli: “il Nord non ha interesse che il Sud e la sua sanità si sviluppino, perché i pazienti meridionali servono al Nord sia nel pubblico sia nel privato”.
Insomma è facile vantarsi con l’economia e la politica a proprio favore, difficile però nascondere i numeri di enormi errori in tutti i settori. A fine pandemia, se i conti saranno fatti per bene, si capirà quanto è giunto il momento di investire al Sud piuttosto che continuare a farlo solo per una parte di Paese.