Trasporto pubblico, il Governo lascia indietro il Sud. Legambiente: “Servizio imparagonabile”

Pendolari in CircumVesuviana


Il rapporto Pendolaria 2023 di Legambiente dipinge una situazione molto negativa rispetto allo stato del trasporto pubblico in Italia. In tutto il Paese “la transizione ecologica dei trasporti è ancora troppo lenta”, ma se il contesto generale è critico lo è ancora di più al Sud dove il divario con il Nord è estremamente accentuato. Insomma, se il Settentrione non è messo bene, il Mezzogiorno sta ancora peggio.

Pendolaria 2023: “Al Sud il trasporto pubblico non è paragonabile al resto d’Italia”

Se la classifica delle 10 peggiori linee d’Italia entra nello specifico dei disservizi per ogni tratta, confermando anche per il 2023 il record negativo della Circumvesuviana, ad essere ancora più importante è il ritratto complessivo di un Paese che sceglie di restare indietro rispetto al resto d’Europa ed investe di più per il trasporto su gomma rispetto a quello su ferro, più ecologico ed economico. Al Sud i disagi sono maggiori:

“Persistono le differenze nelle aree del Paese, e a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno, dove circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate“.

Nessun collegamento diretto tra Napoli e Bari. La Caltagirone-Gela sospesa dal 2011

Le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani (rispettivamente 10 e 5 milioni) con un’estensione inferiore a quella dell’isola. Emblematico è che tra Napoli e Bari non esistano, ancora oggi, treni diretti o che esistano situazioni come quella della linea Palermo-Trapani, via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone-Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) e della tratta Corato-Andria in Puglia (ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti)”.

“Sul fronte investimenti, negli undici anni dal 2010 al 2020, sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro. Stando ai dati del Conto nazionale trasporti, dal 2010 al 2020 sono stati realizzati 310 km di autostrade, a cui si aggiungono migliaia di chilometri di strade nazionali, a fronte di 91 chilometri di metropolitane e 63 km di tranvie”.

La Cura per il Sud

Legambiente non si ferma alle critiche, ma si rivolge direttamente al governo e propone delle soluzioni. Vi è anche una “Cura per il Sud” che consiste in “Più treni per il Meridione, elettrificazione e collegamenti più veloci potenziando in primis il servizio Intercity e integrando l’offerta di servizio lungo le direttrici principali, per garantire almeno un treno ogni ora, attraverso un servizio cadenzato e nuovo materiale rotabile. Per Legambiente gli assi prioritari su cui intervenire sono: Napoli-Reggio Calabria, Taranto-Reggio Calabria, Salerno-Taranto, Napoli-Bari, Palermo-Messina-Catania. Servono poi collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola e va potenziato il trasporto via nave”.

La critica al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina: “Utile solo a buttare al vento altri soldi pubblici”

In Pendolaria 2023 si critica anche il dibattito sul Ponte sullo Stretto di Messina: “Quelli appena visti sono alcuni degli interventi utili e prioritari per rilanciare i collegamenti al sud eppure, ancora una volta, l’ennesima nella storia del Paese, si discute della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. È davvero senza senso continuare a parlare di cattedrali nel deserto, visti i fallimenti che questo tipo di approccio ha avuto negli scorsi decenni; basta pensare ai lunghi tempi di realizzazione ed alle ingenti somme spese per le grandi opere previste dalla Legge Obiettivo (legge 443/2001). È però ripartita la retorica di questa “grande opera”, utile solo a buttare al vento altri soldi pubblici, dopo il miliardo di euro che fino ad oggi sono costati studi e consulenze, stipendi della Società Stretto di Messina”.


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