Strage di Pietrarsa: quando i bersaglieri uccisero brutalmente gli operai napoletani
Mag 01, 2014 - Francesco Pipitone
Bersaglieri
La Festa del Lavoro, che cade il primo giorno di Maggio, prende le mosse da alcuni avvenimenti accaduti nel 1886 a Chicago, negli Stati Uniti. Il primo Maggio di quell’anno, i sindacati organizzarono uno sciopero per la riduzione a 8 ore dei turni di lavoro e per il miglioramento della sicurezza, cui seguirono due manifestazioni: la prima il giorno 3, in cui gli scioperanti furono attaccati dalla polizia senza un precedente ammonimento, causando la morte di 2 lavoratori; la seconda il giorno successivo, quando una bomba fatta esplodere da un ignoto su un gruppo di agenti, causando il decesso di uno di essi, scatenò la reazione della polizia che uccise 7 dei suoi e parecchi civili, oltre a ferirne un numero altrettanto elevato. In seguito ai fatti del 4 Maggio, nel 1887, otto tra sindacalisti e anarchici furono processati e impiccati, ma di costoro si provò successivamente l’innocenza. Nel 1888 la notizia ebbe conseguenze in Italia, perché una volta appresa i Livornesi insorsero e giunsero a minacciare il console americano presente in città.
Ben 25 anni prima, però, l’Italia visse una sua Chicago. A Pietrarsa, il 6 Agosto 1863, si verificò la prima strage di lavoratori dell’Italia unita, con i bersaglieri che ammazzarono 4 operai, Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso, Aniello Olivieri, e ne ferirono gravemente 20, i quali manifestavano per la riduzione dell’orario di lavoro e perché non stavano più ricevendo lo stipendio.
Nel 1840 Ferdinando II di Borbone istituì il Reale Opificio Borbonico di Pietrarsa, sito sul litorale tra San Giorgio a Cremano e Portici, costruito con ampi ambienti affinché gli operai si trovassero a proprio agio. Alla fabbrica era annessa una Scuola d’Arte dove si insegnavano matematica, geometria, scienze meccaniche, lingue, architettura civile e disegno meccanico per la formazione di operai specializzati e ufficiali macchinisti. In un primo momento lo scopo dell’impianto era quello di produrre materiale civile e bellico, ma successivamente il Re volle che il materiale prodotto in questa struttura fosse destinato alla costruzione e alla riparazione di locomotive, in modo che per la realizzazione dei suoi mezzi di trasporto su terra, la Nazione non dovesse dipendere da nessuna altra grande potenza Europea.
All’apice del suo splendore, nel 1853, Pietrarsa contava quasi 1000 operai, tra cui 40 detenuti da reinserire in società, e costava quanto le principali aziende estere utilizzando però degli strumenti in molti casi più all’avanguardia, suscitando l’ammirazione tra gli altri dello Zar Nicola I che venne visitare l’opificio per costruirne uno uguale in Russia.
Con l’Unità d’Italia Pietrarsa perse la sua importanza perché si preferì investire sull’Ansaldo di Genova. Nella relazione dell’ingegner Sebastiano Grandis la prima fu descritta più ampia e ricca di macchinari, ma tuttavia eccedente nei costi e nel numero di operai, in definitiva inutile e dunque ne propose la demolizione. Lo Stato Italiano prese atto, non demolì la fabbrica di Pietrarsa ma la affittò per la cifra ridicola di 46.000 Lire all’anno a Jacopo Bozza, che operò licenziamenti (nel 1863 il numero di operai era più che dimezzato rispetto al 1861) ma aumentò le ore di lavoro e diminuì gli stipendi che poi non erogava.
Queste furono le premesse per le proteste del 6 Agosto 1863, quando i bersaglieri risposero con una carica alla baionetta e spari alla schiena degli operai in fuga, colpevoli di insulti e minacce. Le istituzioni, imbarazzate, diedero la colpa alle circostanze e ai provocatori borbonici, per far poi cadere il silenzio sulla vicenda, mentre le condizioni Pietrarsa man mano degenerarono fino alla chiusura. Adesso è sede del Museo Nazionale Ferroviario di Napoli Pietrarsa.
Ancora oggi, a oltre 150 anni di distanza dall’eccidio di Pietrarsa, il sangue versato è ricordato da pochi, rimosso completamente dalla memoria dello Stato Italiano, colpevole di tanto altro sangue del Sud versato oltre a quello, per ragioni che vanno dalle scelte sbagliate all’opportunismo e alla volontà di ostacolare e bloccare il progresso del Meridione. Perché l’Italia dimentica? Dimentica perché ha vergogna, oppure, molto più crudelmente, dimentica perché non sa avere vergogna.