La pandemia la paga il Sud: le imprese meridionali chiudono, il Nord diventerà più ricco
Apr 08, 2021 - Francesco Pipitone
Lockdown, zona rossa, ristori inesistenti, campagna vaccinale a singhiozzi e senza una programmazione abbastanza precisa da poter stabilire una data di inizio del ritorno alla normalità. L’emergenza pandemica è gestita in maniera per lo meno discutibile – se non vogliamo dire disastrosa – dall’Italia sia dal punto di vista sanitario che economico, sociale e politico e sociale, essendo stati capaci di un cambio di Governo nel bel mezzo della crisi e senza riscontrare immediati benefici.
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Nel frattempo l’argomento del Recovery Plan è sempre meno presente nei dibattiti, d’altra parte l’esecutivo guidato da Conte è inciampato proprio su quella pietra costituita dai 209 miliardi di finanziamenti europei che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto sostenere progetti in favore del Sud per almeno il 50% della somma complessiva. Il Governo Draghi ha al contrario servito l’ennesimo pacco al Sud, piazzando la Lega Nord al ministero per lo Sviluppo Economico, chiamato a decidere sulla ripartizione dei 209 miliardi.
Gli effetti della pandemia sulle Regioni: il rapporto Istat
L’Istat ha pubblicato il Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – Edizione 2021, che al capitolo 4 affronta la tematica degli effetti della pandemia dal punto di vista territoriale. Le imprese sono state classificate secondo i seguenti criteri di rischio: Alto, Medio-alto, Medio-basso, Basso.
“In Italia – riferisce l’Istat – quasi la metà delle imprese (48,5 per cento) si trova nelle due fasce più alte di rischio. La loro distribuzione sul territorio regionale determina la presenza di 11 regioni con una situazione che può essere considerata critica, di cui sette sono collocate nel Mezzogiorno, una al Nord (la Provincia autonoma di Bolzano) e tre nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana). In termini di addetti circa un terzo dell’occupazione media nazionale è classificata a rischio Alto e Medio-alto. In 9 regioni oltre il 40 per cento dell’occupazione risulta in imprese ad Alto e a Medio-alto rischio; sette di queste sono collocate nel Mezzogiorno, una nel Centro (Umbria) e una nel Nord Italia (Valle d’Aosta). Analizzando congiuntamente le informazioni su imprese e addetti, può essere definito un profilo di rischio “combinato” dei sistemi produttivi regionali: sono 6 le regioni ad Alto rischio operativo combinato, di cui cinque appartengono al Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria).
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Le imprese ad Alto e Medio-alto rischio hanno riscontrato una riduzione del fatturato e non hanno una strategia, mentre solo quelle ad Alto rischio prevedono seri rischi operativi. Ciò significa avere all’orizzonte la prospettiva del fallimento. Per quanto riguarda il rischio combinato, a livello basso troviamo 6 regioni tutte del Nord: Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento; a rischio Medio-basso una per area geografica (Veneto, Marche, Molise); a rischio Medio-alto due per area geografica (Puglia e Sicilia al Sud e Isole, Toscana e Lazio nel Centro, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano al Nord Italia); a rischio Alto 5 del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e l’Umbria per il Centro.
Il divario già presente tra Nord e Sud, dunque, è destinato ad allargarsi a causa della pandemia e la morte delle imprese meridionali significa un arricchimento ulteriore – in prospettiva – del settentrione a causa del venir meno di una già debole e svantaggiata concorrenza.