È ormai sempre più nutrita la schiera di persone che incolpano il Reddito di cittadinanza per la mancanza di lavoratori lamentata da numerose imprese: scarseggiano camerieri, lavapiatti, cuochi, baristi, pizzaioli e così via, molti dei quali sarebbero stati assunti per la stagione estiva. Secondo i detrattori del sussidio statale, i ragazzi preferirebbero restare a casa perché pigri: tanto lo Stato assicura lo stipendio.
Due giorni fa il presidente di Confesercenti Campania, Vincenzo Schiavo, ha affermato che il Reddito di cittadinanza “sta creando difficoltà inimmaginabili agli imprenditori”. La sua proposta, al Governo, è quella di aggiungere all’assegno statale la possibilità di essere retribuiti dai titolari delle imprese: il sussidio si trasformerebbe, nei fatti, in un sussidio per gli imprenditori che potrebbero sborsare meno denaro. Tanto ci pensa lo Stato, potremmo dire. Anche il cantante Al Bano ha affermato di avere difficoltà a reperire personale per la sua impresa agricola, dicendo che la colpa “è innanzitutto del reddito di cittadinanza”.
Nessuno, o quasi, si sofferma sul perché i giovani disoccupati preferiscono non accettare quei lavori, ed ossia gli stipendi da fame a fronte di orari di lavoro a limite della schiavitù. Per tutte queste persone, presunti imprenditori e simili, un lavoratore dovrebbe accettare uno stipendio di neanche mille euro al mese per lavorare anche 14/16 ore al giorno, inclusi fine settimana e festivi (senza indennità), magari a nero e senza alcuna tutela. La scelta non è dunque tra lavoro e Reddito di cittadinanza, ma tra schiavitù e sussidio. D’altra parte riconosciamo le difficoltà di moltissimi imprenditori ad assicurare uno stipendio giusto, ad affrontare i costi. Una criticità che però non deve essere risolta schiavizzando il prossimo, e insultando chi non vuole farsi schiavizzare.