Nel suo discorso di questa mattina nelle vesti di Premier, Giorgia Meloni, illustrando il programma del nuovo Governo, ha ribadito la volontà di attuare importanti modifiche al sistema del Reddito di Cittadinanza, mantenendo l’assegno soltanto per chi effettivamente non è in grado di lavorare. Stando all’ultimo report dell’Anpal, dunque, sarebbero circa 920 mila gli italiani che rischierebbero di perdere l’incentivo.
“C’è un tema di povertà dilagante. Papa Francesco ha di recente ribadito un concetto importante: la povertà non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro. Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare. Per gli altri la soluzione non può essere il Reddito di Cittadinanza, ma il lavoro. Per come è stato pensato il Reddito di cittadinanza ha rappresentato una sconfitta” – ha detto la nuova presidente del Consiglio.
L’idea sarebbe, dunque, quella di mantenere, e addirittura potenziare, la misura per pensionati in difficoltà, over 60 senza reddito, gli invalidi e le famiglie con figli a carico e privi di entrate. Chi, invece, rientra nella categoria degli occupabili dovrà essere aiutato a trovare un impiego e non incentivato a restarsene a casa con una forma di Reddito. Eppure, in quest’ultimo filone rientra una grossa fetta di beneficiari del Reddito, come emerso dall’ultimo monitoraggio dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, aggiornato al mese di giugno.
Su 2,3 milioni di percettori, infatti, sono 920 mila quelli considerati in grado di lavorare ma soltanto una minima parte (il 18,8%) risulta occupata. Circa il 40% dei beneficiari, dunque, con il cambio di rotta voluto dalla Meloni, rischierebbe di perdere il beneficio.
Dal report dell’Anpal emerge anche che “nel 73% dei casi i beneficiari soggetti al Patto per il lavoro, non hanno mai avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei 36 mesi precedenti. Il 70,8% ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore e solo il 2,8% un titolo di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola superiore”.
Risulta, dunque, fondamentale il ruolo della formazione, sottolineato dalla Premier stessa, per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro dei soggetti che potrebbero perdere l’assegno.