Allarme dell’Istat, il Sud muore: i giovani scappano, imboccata la strada per il tracollo

Il Sud


È un quadro a tinte scurissime quello tracciate dall’Istat sull’emergenza che riguarda il Mezzogiorno. L’Istituto ha pubblicato un’analisi sui sui divari territoriali tra il Sud ed il resto del Paese, sottolineando la persistenza dello stato di arretratezza negli ultimi cento anni del meridione nonostante la ben nota questione meridionale. Carenza di istruzione, denatalità ed emigrazione, invecchiamento della popolazione residente sono i tre più grandi pericoli che possono mettere definitivamente in ginocchio il Sud e decretarne il tracollo senza speranza.

Il Sud muore: arretratezza e fuga dei giovani fanno presagire il collasso

L’Istat sottolinea l’arretratezza del Sud, ma connessa alle due enormi potenzialità: “Il Mezzogiorno è il territorio arretrato più esteso dell’area euro, che ha sofferto in modo accentuato la Grande crisi del 2008 e, da ultimo, l’impatto della pandemia. Tuttavia, è anche un contesto dalle grandi potenzialità e differenziazioni interne, dove risiedono oltre venti milioni di abitanti (circa un terzo della popolazione italiana), con un tessuto produttivo che – pur debole e incompleto – potrebbe generare effetti positivi per il Paese”.

“Quello dei ritardi del meridione d’Italia è da più di un secolo una priorità nazionale e un ambito privilegiato di attenzione nel dibattito e nelle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale”. È qui che si colloca il Pnrr, definito “opportunità storica per il rilancio del paese”.

L’Istat è andato a esaminato 10 indicatori per delineare i tratti principali dei differenziali riscontrati fra Mezzogiorno e il Centro Nord, che mettono in luce “la vischiosità e ampiezza dei ritardi del Mezzogiorno rispetto al resto del paese, i quali si ripropongono malgrado una lunga storia di interventi per lo sviluppo e la coesione. Ribadiscono, in sostanza, la stringente attualità della “questione meridionale”: si ravvisa una persistenza dei differenziali, e solo in pochi casi una significativa convergenza”.

Gli indicatori considerati fanno emergere “gap importanti nel valore della ricchezza prodotta, del livello d’istruzione, del tasso di occupazione dei giovani. Ne derivano nuovi fenomeni migratori che restano una costante irrisolta e – a differenza dal passato – una minaccia per il futuro di gran parte del Mezzogiorno”.

Servizi alle persone inaccessibili: così si realizza la fuga dal Sud

L’accessibilità dei servizi alle persone penalizza in maniera particolare le regioni del Sud ed “incide negativamente su vari fronti: il corretto sviluppo dei bambini; la funzione genitoriale soprattutto delle donne; il persistere degli svantaggi di genere sul mercato del lavoro; la qualità degli outcomes scolastici, e quindi del futuro capitale umano; le opportunità di prevenzione e cura della salute. Tutti questi aspetti sono essenziali per lo sviluppo e fondativi dei diritti di cittadinanza, ma non sembrano ben attuati per quote ampie di popolazione del Mezzogiorno”.

“Di norma, questi fenomeni impattano sulla struttura demografica di un territorio, giacché contribuiscono a renderlo più o meno “vivibile e ospitale”. Non a caso, si delinea il rischio di un eccessivo impoverimento demografico del Mezzogiorno. Fra il 2011 e il 2020, la popolazione residente in queste aree ha fatto registrare per la prima volta un calo (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord) dovuto a un saldo naturale divenuto negativo e alla ripresa dei flussi migratori. A tendenze invariate nel 2030 i residenti in questi territori scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei venti milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%)”.

Il Mezzogiorno perde soprattutto i giovani

“La perdita di popolazione si concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani: nel Mezzogiorno, i residenti fino a 14 anni nel 2011 superavano i 3,17 milioni, scesi a 2,64 milioni nel 2020 (-16,9%), con una previsione al 2050 di 1,86 milioni di unità (poco più della metà del 2011). A ciò corrisponde un contestuale incremento del peso della popolazione anziana”.

“Si prevede che intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole supererà quella del Centro-Nord, solo fino a pochi anni fa nettamente inferiore. La fisiologica piramide demografica ne risulterebbe profondamente alterata, con un’erosione della componente giovanile, un peso crescente degli ultra-sessantacinquenni e una perdita progressiva nella popolazione in età da lavoro”.

La società meridionale rischia il collasso

“Ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste regioni a supporto delle aree più sviluppate del paese. Inoltre, si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale“.

“Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio. A oggi, le cosiddette “aree interne” potrebbero essere solo la parte più avanzata ed esposta di questa prospettiva”.


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