Il Reddito di Cittadinanza è stato spazzato via dal Governo Meloni e 200mila famiglie già sono state fatte fuori dalla misura, eppure il tema è destinato a restare nel dibattito pubblico a causa di una procedura di infrazione della Commissione Europea avviata nei confronti dell’Italia. La legge, infatti, prevedeva che potesse accedere al sussidio sono chi risiedeva da almeno 10 anni nel Paese, una norma che l’Europa ritiene discriminatoria poiché in contrasto con il principio di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, residenti e protezione internazionale.
Il limite minimo dei dieci anni di residenza era stato fissato nel 2019 dal Governo allora guidato da Movimento 5 Stelle e Lega Nord. Da subito fu rilevato come eccessivo il requisito, tanto che il Governo Draghi avrebbe dovuto dimezzarlo, salvo poi fare un passo indietro a causa della particolare sensibilità dell’argomento. Si trattava infatti di una materia che avrebbe dovuto risolvere un Governo politico, non uno tecnico. Nel frattempo il tempo è passato, e la procedura di infrazione è stata avviata. L’Italia ora avrà due mesi a disposizione per rispondere a Bruxelles.
La Commissione Europea ha sottolineato che “Le prestazioni di assistenza sociale come il reddito di cittadinanza dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Ue che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza.
“Inoltre, dovrebbero poter beneficiare del beneficio i cittadini comunitari che non lavorano per altri motivi, con la sola condizione che risiedano legalmente in Italia da più di tre mesi. Inoltre, la direttiva 2003/109/CE richiede che i soggiornanti di lungo periodo al di fuori dell’Ue abbiano accesso a tale beneficio. Pertanto, il requisito della residenza di 10 anni si qualifica come discriminazione indiretta in quanto è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio”.
“Inoltre, il regime italiano di reddito minimo discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale, che non possono godere di tale beneficio, in violazione della direttiva 2011/95/UE. Infine, il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavoro fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al rientro in Italia”.
Un vero e proprio pasticcio, insomma, scritto nella totale mancanza di conoscenza della legislazione comunitaria. Una legge fatta da dilettanti allo sbaraglio che neanche si degnano di consultare degli esperti di diritto, verrebbe da dire. E sbaglierebbe anche se pensassimo che l’Italia possa imparare dai propri errori: un’altra procedura è stata avviata infatti nei confronti del nuovo Assegno Unico Universale, che richiede la residenza in Italia da almeno due anni e solo se i genitori risiedono nella stessa famiglia dei loro figli.