L’illuminismo prima dell’Illuminismo. Perché la Chiesa condannò Galilei, a cura di Angelo Calemme e con i contributi dei professori Giuseppe Di Marco, Fabio Minazzi, Vito Francesco Polcaro, Maurizio Torrini, edito dalle Edizioni “La Città del Sole” di Napoli è un’inconsueta selezione critica di alcune lettere galileiane (dette copernicane o teologiche), la quale ci introduce a un progetto di ricerca condiviso, e che si rivela come solo una parte di uno più ampio e capostipite, abbozzato nei suoi lineamenti in un intenso dibattito contemporaneo, instaurato tra Fenomenologia, Psicanalisi e Marxismo, e culminato il 6 maggio 2013 nell’impostazione generale della Giornata nazionale di Studi galileiani, svoltasi presso il Centro studi filosofici e politici del Centro culturale “La Città del Sole” di Napoli, intitolata Le modernità politiche e la rivoluzione del sapere. In prima istanza questa riproposizione di Galilei è tendenzialmente divergente, sia polemicamente che criticamente, dall’impostazione egemone oggi, e che nel 2009 diede luce all’Anno dell’astronomia e al Quattrocentesimo anniversario delle scoperte di Galileo e Keplero. La lettura del dott. Calemme prende in analisi la Nuova Scienza da un alternativo, e innovativo, punto di vista e cioè dall’ottica quasi medica, clinica, che la riconsidera come l’oggetto ultimo di quei Philosophie Naturalis Principia Matematica che Galilei non ebbe mai possibilità di pubblicare organicamente, ma che rimangono, ancora oggi, poco conosciuti e sparpagliati ai margini dei suoi scritti. Questa riproposizione filosofico-politica del galileismo non solo ha la finalità di contribuire al dibattito sulla scienza matematico-sperimentale e sulla sua presunta crisi, ma si propone di problematizzare nuovamente, cercando di non scadere in un noioso compendio, nella maniera più eretica e rigorosa possibile, la lettura dell’opera e del senso storico di Galilei.
Il progetto di ricerca tende a condurre lo studio fenomenologicamente, per riuscire ad orientarlo al di fuori della chiacchiera e delle depotenziate riflessioni che si fanno, e si sono fatte, del Nostro, e a partire soprattutto dal suo immaginifico e simbolico lavoro di rielaborazione e produzione ontologica, riconsiderare il ruolo che ebbe la sua piega politica nella sua caratterizzazione teoretica. Oltrepassando dialetticamente la sterilità delle indagini filologiche, e a partire da un accorto studio dei testi e della letteratura critica, Calemme scopre un Galilei fino ad ora passato inosservato (?); Galilei costruì prima di tutto una fisica e non un’astronomia, una filosofia e non un semplice computo matematico. Questo è sempre stato il valore occulto di Galilei, non l’inflazionato copernichismo astronomico, ma il galileismo di una filosofia come prassi del sapere vero e reale. Sin dall’inizio questo tipo di prassi faceva, letteralmente, fatti con le parole, e in base a questa convinzione sviluppa, ancora oggi, il suo orizzonte di senso teoretico e pratico attraverso un’operazione tipicamente metafisica, e significante.
L’illuminismo prima dell’Illuminismo curato dal dott. Calemme suggerisce, paradossalmente, di scollare per un momento il padre della fisica moderna dalle più tradizionali e positiviste interpretazioni, per riscoprirlo come il primo uomo del suo tempo, l’unico passato che l’ultima modernità, quella critica, riconosce di sé nell’età della sua maturità, e attualità; in altre parole il curatore ci propone di ridefinire il mostro sacro dei saperi esatti, come il filosofo che fece della sua civiltà la sua milizia, il testimone della modernità classica, di cui noi, i più moderni tra i moderni (i kantiani), continuiamo ad essere ancora assuefatti e incantati, e in obbedienza del quale noi, ancora oggi, ci relazioniamo secondo rapporti di esteriorità obiettiva.
A fianco le più recenti letture italiane di Galilei, come quelle di Corrado Augias, Piergiorgio Odifreddi, Antonino Zichichi, l’illuminismo prima dell’Illuminismo è rivoluzionario. Contro le letture creazioniste, marxiste e positiviste l’Antologia evidenzia l’evento filosofico-politico in Galilei. Il momento politico della convinzione è costantemente all’origine di ogni nuovo sapere socializzabile, è ciò che lo nutre nel suo inizio e lo mantiene fertile nelle sue aspettative. Il politico, e non il sociale, è ciò che fece da spinta a un nuovo tipo di società. La rivoluzione, direbbe Newton, vive dello stesso evento della gravità: di una “piccola spinta”. La spinta è sempre una spinta sociale, certamente, ma il catalizzatore per il tramite del quale è possibile passare da un regime di socialità ad un altro è il momento dialettico di incarnazione politica, nella viva voce di una collettività, di una parte per il tutto. Già con Galilei Dio muore, e con esso l’idolatria della natura. Questo scatto storico è dovuto prima di tutto da un fenomeno di soggettivazione, identificazione politica, quello nominato e testimoniato da Galilei, il quale diede voce a una maturità di condizioni che cercò di affermare se stessa, e di rendersi visibile, contro un contraddittorio stato di cose a lui contemporaneo. La lotta filosofica e scientifica galileiana fu, secondo Calemme, una lotta per il riconoscimento; gli interventi dei profosseri Di Marco, Minazzi, Polcaro, Torrini nella Giornata di studi del maggio scorso, e dello storico e matematico napoletano Romano Gatto, e del giovane dottorando Daniele Poccia (che il 3 dicembre scorso promossero il lavoro presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici a Palazzo Serra di Cassano) hanno convalidato questa costante: il passaggio alla modernità classica è stato prima di tutto politico, e solo poi sociale, e che il primo non può non inaugurarsi che a partire dall’iniziativa di menti finissime che, come Galilei, sfruttando i fenomeni di obbedienza spontanea (Tarizzo 2007), danno l’incipit per nuovi orizzonti ontologici e di cultura.
I Principia filosofici della scientificità galileiana divengono subito chiari nel momento in cui si tiene ben presente questa capitale differenza tra un fatto politico e un fatto sociale. Il fatto politico è l’evento di costruzione immaginifica e simbolica, metafisica, delle identità collettive, mentre il fatto sociale è, invece, la cristallizzazione del politico, che prima o poi avviene, in una realtà evidente (di cui il sapere diviene scienza applicata e tecnologia della produzione umana). La prima modernità si fece, e continua a farsi, sull’iniziativa di un movimento di massa, di soggettività politiche e culturali, che ad un certo punto vincono su quelle sociali precedenti, in virtù di una lotta per il dominio egemonico. Ogni traguardo egemonico è la soglia di un intero orizzonte di senso, che si appropria di sé nel riconoscimento politico dell’Altro, il quale approda in un sapere intensamente socializzabile e applicabile allo stato di cose preesistente, per la trasformazione tecnologica del mondo e la produzione della ricchezza. Lo sperimentalismo è divenuto, a partire da Galilei, da opinione, una convinzione politica, un sapere collettivamente riconosciuto, consolidato, evidente e socializzato. L’obiettività galileiana vinse egemonicamente sulla verità della Chiesa, e su tutta una cultura teologica. Questo vuol dire non che le scoperte scientifiche sono false, ma che sin dall’inizio non sarebbero state possibili prescindendo dal costante lavoro metafisico di costruzione ontologica, immaginifica e simbolica, di parole e azioni pratiche, che il senso finalizzato, progettuale, e tecnologico di Galilei operò. In altre parole non ci fu scienza senza prima un lavoro filosofico e di conversione.
Ritornare al Galilei, filosofo e politico, è l’arma a doppio taglio sia per combattere la crisi delle scienze dure, sia per arginare la barbarie culturale della stanchezza scientifica e delle sclerosi sociali conseguenti a certe letture ortodosse, e di maniera, dello sperimentalismo. Come argomentarono giustamente i partecipanti al convivio di maggio 2013, la forza di Galilei non è stata quella di aver inventato uno strumento, o di averlo direzionato verso un punto inusuale, ma nell’aver riletto in maniera innovativa, e applicabile, la chiave di volta di quella sorta di illuminismo prima dell’Illuminismo, di quel pensiero del lume della natura, indipendente e naturale, che precedette quello dell’autonomia e del criticismo kantiano. Il saggio introduttivo di Calemme a queste 6 lettere copernicane di Galilei e i contributi scientifici da parte di storici, filosofi, epistemologi, fisici, matematici e ingegneri ci introducono a nuove scoperte sul conto di Galilei.
In conclusione perché acquistare il libro? Perché consultare l’ennesima selezione critica delle opere galileiane? Si è scritto tutto e di più su Galilei; è veramente necessario continuare “a tagliar alberi da cellulosa”, “sporcare e riempire il mondo d’inchiostro”, “ingolfare scaffali, librerie e biblioteche” con l’ennesima didascalia alle scienze sperimentali? Questo libro non è un compendio della scienza sperimentale, ma una problematizzazione del suo caso; L‘illuminismo prima dell’Illuminismo. Perché la Chiesa condannò Galilei è un libro d’impegno civile. Esso è stato realizzato per restituirci un’eredità sconosciuta ai più, come ai pochi, illustrando non solo un pensatore alla moda, ma ritornando alle sue origini profonde, studiandone clinicamente il finalismo politico e sociale.
Inoltre come recita la sinossi del testo “ritornare alle origini – metafisiche, politiche – del pensiero galileiano è un’operazione imprescindibile per la comprensione sia degli effetti di verità con cui le scienze dure legittimano le loro pratiche di sapere-potere sugli uomini, sia di come il galileismo, una volta applicato alla produzione della ricchezza, può connotarsi in maniera patologica e tecnocratica (…)”. In altre parole Calemme si sforza di ripensare l’emancipazione, la disalienazione delle masse a cavallo di una delle convinzioni storiche che più influiscono sul nostro presente; non introducendoci a “una politica come scienza e ad una scienza come politica”, ma a quel fenomeno di “obbedienza spontanea”, la convinzione politica, che fonda non solo le scienze umane ma, anche, le scienze naturali.
Recensione di Carmine Cippirimerli