Mentre a Pompei i crolli all’interno degli Scavi Archeologici sono praticamente, e tragicamente, all’ordine del giorno, a soltanto 20 chilometri di distanza gli Scavi di Ercolano sono considerati un modello di efficienza lodato anche dall’UNESCO. Questo risultato è dovuto all’interazione tra pubblico e privato, alla collaborazione tra la Soprindenza per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e la fondazione no-profit Packard Humanities Institute, formata da David W. Packard, figlio di uno dei soci fondatori dell’azienda informatica HP, collaborazione che ha consentito la nascita dell’Herculaneum Conservation Project.
Il Progetto per la Conservazione di Ercolano nasce nel 2001 quando Packard venne a conoscenza del fatto che il sito era uno di quelli in peggiore stato conservativo, e da allora sono stati investiti nell’area oltre 20 milioni di Euro in questo progetto a medio-lungo termine, il quale nelle intenzione avrebbe portato i suoi benefici nell’arco di qualche decennio, cosa che a riprova del buon lavoro svolto è riscontrabile già adesso. Nonostante Packard sia statunitense e il project-manager, l’architetto Jane Thompson, sia gallese, quello ercolanese è un progetto italiano per volere del suo ideatore, dato che a lavorare sono archeologi “nostri”.
Se durante questi anni una parte consistente dei tetti e dei muri degli edifici sono stati sostituiti o riparati, permettendo la visitabilità del 65% dell’area archeologica anche da parte di disabili, è pur vero che bisogna ancora agire nella tutela del sito che non è esente da cedimenti, come avvenuto nel Novembre del 2013: qui però, a differenza di Pompei, il problema è stato affrontato e risolto nel giro di una decina di giorni, merito non solo degli specialisti che vivendo il posto quotidianamente lo conoscono e sanno cosa fare, ma anche del fatto che a Ercolano è poco presente l’ingerenza della politica. Jane Thompson ha infatti affermato che “i colleghi che lavorano a venti chilometri da qui subiscono spesso le conseguenze di una certa arroganza istituzionale a Roma“, dovuta altresì, paradossalmente, ai fondi europei che hanno limitato l’autonomia della Soprintendenza, saputa al contrario sfruttare a Ercolano.
Quello che emerge dunque è il fatto che a Pompei manchi non solo un progetto di conservazione dal degrado a medio-lungo termine, che porta ad affrontare i problemi soltanto con soluzioni tampone, ma pure la possibilità per i tecnici di quegli scavi di agire in autonomia e in efficacia a causa dell’ingerenza di una politica fatta da persone inette quando si tratta di tutelare i beni archeologici, le quali diventano estremamente intraprendenti se in gioco ci sono la loro visibilità e i loro interessi.